“Toledo Suite” di e con Enzo Moscato alla Sala Ferrari di Napoli

Da venerdì 11 (fino a domenica 13 marzo), presso la Sala Ferrari di Napoli, va in scena Toledo Suite, recital tra musica e teatro, testi e regia di Enzo Moscato.
Chansonnier Enzo Moscato, immagini sceniche Mimmo Paladino, elaborazioni e direzione musicale Pasquale Scialò. Luci Cesare Accetta. Costumi Tata Barbalato.

Per info e prenotazioni:
tel. 081 5562917
web: www.salaferrari.com

Per ‘Toledo Suite’

Io non sono un cantante. Non lo sono mai stato.
Quello che in scena sembra canto è solo un’altra forma della mia scrittura.
Nel mio canto scenico avviene come una migrazione dello strumento della scrittura da un organo corporeo all’altro: dalla mano all’ugola, alla gola…
La scrittura, per me, e non solo quella scenica, è la principale forma d’espressione dell’anima, la quale, pertanto, fa uso di tutto – proprio tutto – per poter venire fuori e farsi riconoscere.
Il canto, come la sintassi, come lo stile, come la recitazione, come la danza, il movimento… sono tutte declinazioni del desiderio dell’anima di esprimersi.
Del resto, la migrazione di strumento espressivo, da un organo corporeo all’altro, è parallela alla migrazione che faccio compiere alla musica, alla canzone, ai brani recitati, alle lingue, che compongono di solito un mio percorso di spettacolo.
Parto dai suoni (genetici) napoletani, dai grandi autori musicali nostrani: Viviani, Gill, Taranto, Trovaioli, o anche da hit canori notissimi (Scalinatella, Cerasella, Anema e Core etc.), per poi crudelmente ‘spaesarli’ – dislocarli – e, così, facendoli lambire il mondo intero, l’internazionalità del graffito vocale – come direbbe Artaud; facendoli incontrare/scontrare con autori quali Brecht, Eisler, Weill, Marguerite Duras, perché in fondo la lingua del canto dell’anima, della scrittura dell’anima in note, non conosce barriere, dogane, divisioni, confini, ma parte e ritorna da e all’unica radice, che tutte le fa nascere e camminare: il desiderio di esprimersi e comunicare, che è in ognuno di noi, al di là  del luogo dove si è nati, dell’età, del colore della pelle, dello status sociale e politico cui si appartiene.
E questa ‘trasversalità’ della musica e del canto è meravigliosa, perché fuori dalle ideologie e dalle classi, fuori dalla storia e dai fenomeni, fuori dai dogmi e dalle prigionie del gusto, il che spiega ampiamente perché, cantando, io non abbia mai fatto selezione alcuna in ciò che canto: alto/basso, mentale/viscerale, destra/sinistra, colto/plebeo, per me non esistono nel canto: tutto è uguale, tutto è ugualmente degno di essere, localmente, vissuto ed espresso.
Nella fattispecie, Toledo Suite presenta un filo tematico-simbolico che lega insieme tre cose: Toledo stesso – come quartiere, la musica, le puttane. Perché? Che affinità, che prossimità può esserci mai tra questi tre fattori apparentemente eterogenei?
Io direi che ciò  che li lega nel profondo è il senso di perdita.
Toledo è perduta, gratuita, evanescente, incatturabile alla Storia.
Toledo non si è mai – e continua a non inserirsi mai – nella Storia.
Non sono il primo e non sarò neanche l’ultimo a dirlo: Viviani o Patroni Griffi – per tutti –  credo abbiano detto, al riguardo,  una parola più che definitiva, che ce la rende, in fondo,  come un’Utopia  Assoluta, condizione perfetta, del resto, per continuare e continuare a scriverne.
Poi c’è la musica, che è essa stessa perdita e senso – senso di perdita, in quanto eternizzazione fine a sé stessa del piacere dell’ascolto.
Non c’è nessuno, io credo, che senta o canti musica, senza avvertire che non sta acquistando qualcosa, ma solo perdendo – anche nel senso buono – qualcosa: frustrazione, avvilimento, limitatezza, tristezza, eccetera.
Infine, ci sono le puttane, e, per di più, quelle prigioniere, una volta, nei famigerati ‘casini’.
Ebbene, non c’è nessuno più vicino delle puttane alla Perdita Assoluta. E, pertanto, più prossime a Toledo  e alla musica.
Dimenticate, inessenziali, private per sempre del senso di sé e di ciò che i borghesi un tempo chiamavano ‘dignità’, le puttane cantano e ascoltano musica non per dimenticarsi-dimenticare – e attraverso quest’oblio, riscattarsi, chessò? – ma per farsi – e non importa quanto consapevolmente – Cultrici, sagge e felici, del senso del Nulla, che è poi, a pensarci bene – del Senso, tout-court.

E su questo sfondo – Nulla e Nulla/Senso – innocentemente/perversamente, canto e faccio scorrere il filo del piccolo concerto mio e di Scialò: trovandone fatica, tanta, e consolazione, pure tanta, che spero con tutto il cuore arrivi pure a chi m’ascolta.

Enzo Moscato