NIÑO – di Emanuela Ferrauto
NIÑO
I testi creati dalla penna di Tino Caspanello rallentano il tempo fino a bloccarlo negli occhi degli spettatori. Come un fermo immagine narrativo e visivo, questi racconti per la scena, attraverso la parola drammatizzata e narrata, sfidano la velocità ed il tempo, assecondano i battiti del cuore, rigenerano i ricordi. Il tempo narrativo di questo spettacolo è talmente rallentato, rispetto ai lavori precedenti, da risucchiare il pubblico in un passato polveroso, mentale, ovattato. Una bolla di ricordi in cui l’avanzamento diacronico non esiste più. Attraverso la conoscenza di una storia di famiglia, tramandata oralmente, Caspanello scrive il suo nuovo testo, interpretato da Cinzia Muscolino, compagna di vita e d’arte. L’autore sceglie un titolo spagnolo, NIÑO appunto, per il nuovo prodotto della compagnia messinese TEATRO PUBBLICO INCANTO, che debutta a Catania, pochi giorni prima di approdare in Campania, ospitato in occasione delle date inserite nel programma del TEATRO CERCA CASA, collocate tra Caserta e Napoli. Le tappe campane debuttano a S. Maria Capua Vetere (CE) il 30 aprile, ed a Napoli il 2 maggio, quest’ultima all’interno della casa del drammaturgo napoletano Manlio Santanelli, consolidando il connubio d’intenti e d’arte che lega da sempre la drammaturgia napoletana a quella siciliana, e naturalmente l’amicizia tra i due autori.
Questa è la storia di una donna, membro della famiglia Caspanello, che negli anni ’50 del Novecento si unisce ai milioni di Italiani emigrati in America; secondo consuetudine, il matrimonio per procura, effettuato a distanza tra i due sposi, in possesso unicamente di una foto dell’una e dell’altro, permette alla giovane, proveniente da un paesino della provincia messinese, di sposare un ricco uomo argentino.
L’intera drammaturgia è costruita sulla metafora del ricamo, di quell’atto, cioè, che avviene davanti al fuoco, in un cortile, davanti a tante persone o solo davanti a se stessi. Quel momento di estrema concentrazione manuale e di grande silenzio, durante il quale si compie un rituale attraverso cui un patrimonio infinito di ricordi è tramandato. La metafora del ricamo, ossia della costruzione della propria vita attraverso una minuta ed ordinata attenzione, conduce alla creazione di un disegno bellissimo che, però, deve assolutamente avere un ordito ben delineato anche al rovescio, affinché il ricamo sia perfetto. Il divario tra apparenza e realtà, tra sogno e dolore, tra passato e futuro, tra viaggio e radici, sono tutti binomi fondamentali all’interno di un racconto dalle pause lunghissime, immense, lontanissime, così come i due luoghi divisi dall’Oceano. Pause costruite soprattutto sui ricordi, che affiorano lenti nella mente dell’attrice-narratrice-protagonista, e che non sono lineari ma dettati dal racconto orale. Secondo quanto afferma Caspanello, la protagonista sembra non aver mai raccontato la sua storia, diffusa in famiglia e tra la gente del paese grazie ad una conoscente che aveva vissuto in Argentina. Caspanello diventa, dunque, depositario della memoria storica del tempo, oggi elemento considerato imprescindibile nella ricostruzione della storia culturale del nostro Paese che, fortunatamente e finalmente, non disdegna i diari, le autobiografie, le lettere e tutti i documenti raccolti negli archivi personali o di famiglia. Numerosi studi si occupano di letteratura e di archivi d’emigrazione, tralasciando però, spesso, il rapporto tra il teatro e questo importante momento della storia sociale e culturale degli Italiani in America.
Dopo il matrimonio per procura, la protagonista parte in vista dell’Argentina e giunta sulle sponde americane, nel momento dello sbarco, riceve un neonato tra le braccia. Certamente la scelta del marito argentino, che, in effetti, per la prima volta diventa consorte effettivo, è quella di spingere la donna ad abbandonare, in un hotel, il bambino non suo e di cominciare a possederla come merce di scambio. I commenti volano tra il pubblico ma forse è necessario contestualizzare la vicenda: una donna sposata per procura, la quale sbarca con un bambino in braccio, è simbolo di fallimento del ruolo di marito-padrone, situazione che l’uomo argentino, e qualsiasi altro uomo, non avrebbe mai accettato. Inoltre, comunicare alla famiglia la condizione di schiavitù a cui la donna fu costretta per tutta la vita, sarebbe stato impossibile: la terra dell’oro e delle meraviglie doveva rimanere tale nell’immaginario italiano.
Caspanello sceglie di far interpretare all’attrice una donna stordita, dagli occhi puri e fioriti, così come appare il decorso del suo abito bianco. Dalla purezza del sogno alla bambinesca curiosità nei confronti del futuro, dai legami familiari e territoriali fino alla disperazione del sogno infranto: il dualismo per contrapposizione continua. Il ricordo sembra ritardato, reiterato, allungato incessantemente, soprattutto quando la donna descrive la sua vita prima del viaggio in America, per poi velocizzarsi nella descrizione degli effetti del matrimonio e della vita reale con l’uomo argentino, come se la protagonista volesse nasconderne le immagini. Il ricordo dei bambini del paese, che lei amava tenere in casa ed istruire, si concretizza nell’immagine di un bambino sconosciuto ed abbandonato, perseguendo ancora nel dualismo degli elementi. Il futuro, indicato nella progenie, viene annientato. I nodi parentali, che Caspanello sottolinea costantemente, riecheggiano nell’immagine dei punti del ricamo e nei nodi del ricordo: ogni punto è un ricordo, ogni sguardo perso nel vuoto è un sorriso.
Ogni nodo è un legame, attraverso un immaginario albero genealogico che improvvisamente viene tranciato ed abbattuto attraverso l’immagine del bambino abbandonato e del marito violento.
L’autore sceglie di utilizzare la lingua italiana e non quella siciliana, sceglie cioè di raccontare una storia che sia non solo collocata solidamente nella memoria collettiva, ma che sia articolata su due livelli: realismo e lirismo. Immagine poetica di una donna che può vivere in tutti i tempi ed in tutti i luoghi, che porta con sé il messaggio d’amore universale, sopravvissuto solo grazie al ricordo.
Una sedia, un ricamo, mille ricordi, una vita infranta. La semplicità delle storie di uomini e di donne, raccontata attraverso le lunghe pause di un silenzio sonoro che permette di ascoltare il respiro di ogni singolo spettatore. Quello stesso Silenzio a cui Tino Caspanello dedica un Polittico – POLITTICO DEL SILENZIO, appunto – , raccolta di tre opere, ECCE OMO, KYRIE, AGNUS, edita da Editoria & Spettacolo ed appena pubblicata.
EMANUELA FERRAUTO
NIÑO
Teatro Cerca Casa Napoli
2 maggio 2016
Casa Santanelli
Il testo è stato scritto e presentato in francese sotto forma di studio a Grenoble, durante il festival Regards Croisés, nel 2011.
Scritto e diretto da Tino Caspanello
Interpretato da Cinzia Muscolino
Teatro Pubblico Incanto