LA MORTE E LA FAMIGLIA: EMMA DANTE CON IL SUO PUPO DI ZUCCHERO

LA MORTE E LA FAMIGLIA: EMMA DANTE CON IL SUO PUPO DI ZUCCHERO

a cura di Emanuela FERRAUTO

Consideriamo questo spettacolo una summa della poetica teatrale di Emma Dante perché ritroviamo all’interno numerosi elementi che sono germogliati negli spettacoli e nei testi pubblicati e presentati precedentemente al pubblico. Un prodotto, dunque, che possiamo consigliare non solo allo spettatore che segue e conosce bene la produzione della Dante, ma anche a chi si affaccia per la prima volta all’osservazione della sua arte. All’interno di PUPO DI ZUCCHERO, questo il titolo dello spettacolo in scena al Teatro Mercadante di Napoli dal 4 al 15 maggio, dopo il suo debutto campano presso il bellissimo teatro antico di Pompei a luglio 2021, ritroviamo infatti riferimenti alla raccolta Carnezzeria, in particolare al testo e allo spettacolo mPalermu,ma anche riferimenti scenici che rimandano alla Trilogia degli occhiali, in particolare Ballarini, fino al più recente Le sorelle Macaluso. All’interno di questo spettacolo troviamo un’esplicita commistione tra la cultura siciliana e la cultura campana, intese non solo nell’accezione popolare e orale, ma anche letteraria.  Uno dei fili conduttori dei testi e degli spettacoli creati da Emma Dante è sicuramente la solitudine: anche in questo caso il nostro protagonista, uomo non più giovane, è assolutamente solo, nonostante sia attorniato da figurette agitate e in continua accelerazione che si affastellano nei suoi ricordi e si alternano sul palcoscenico, in alcuni momenti togliendo lo spazio e l’attenzione allo stesso protagonista. L’autrice e regista, infatti, ha scelto di mettere in scena i ricordi del personaggio principale, anonimo rispetto agli altri che si materializzano fisicamente e che accompagnano il recupero di un passato volatilizzato e polveroso come le tavole del palcoscenico e gli abiti che indossano i personaggi. L’ambientazione è inscatolata all’interno di una casa che è riprodotta in scena idealmente: non è presente scenografia, se non un tavolo e una sedia, e si sceglie un’illuminazione chiaroscurale che, a volte, si colora di una luce dorata frontale per evidenziare alcune scene specifiche, alcuni ricordi particolari, rallentando il rocambolesco e velocissimo racconto scenico. I personaggi volteggiano e raccontano la loro storia a ritroso, sostenuti da una splendida colonna sonora; si sceglie di limitare fortemente la scrittura e il dialogo, regalando al pubblico ricche conversazioni silenziose che le immagini e i movimenti forniscono attraverso sfumature personali e sfaccettature positive o negative a seconda della percezione di ogni spettatore.  Il ricordo dei morti è vita: Emma Dante ce lo insegna continuamente e ripetutamente in numerosi spettacoli. I morti costituiscono la famiglia, anche se fisicamente non ci sono. L’autrice non vuole sottolineare un tipo di rapporto legato ad una cultura religiosa specifica, bensì sviscera attraverso i suoi personaggi un rapporto con l’aldilà che nel meridione italiano e in tutto il Mediterraneo è ancestrale, profondo, legato sia al sacro, ma soprattutto al profano. Infatti, il pupo di zucchero di cui parliamo è un piccolo pupazzo creato dall’impasto di farina, acqua e zucchero: una sorta di Pinocchio ancestrale, creato dal protagonista, poetico e funereo Geppetto che contiene in sé elementi molteplici ed eterogenei. Il pupo di zucchero antropomorfo è l’elemento cardine, è il portale tra il mondo dei morti e quello dei vivi: purtroppo è creato con una pasta che non lievita, una famiglia che non produce e non genera più, una vita che va a ritroso attraverso i ricordi e tende a contorcersi su se stessa. Il pupo di zucchero attira le anime dei morti, rappresenta il dolce offerto ai morticelli, come vengono chiamati in Sicilia, ed è marionetta inerme che ci apre le porte del ricordo della vita che fu. Ancora oggi, in Sicilia, il 2 novembre rappresenta il giorno in cui si commemora una festa allegra, legata al rapporto tra i bambini e i nonni: i morti rappresentano il Babbo Natale ante litteram, il San Nicola che porta i doni, insegnando ai bambini che i morti non sono assenti, ma i nonni si ricordano ancora di loro, attraverso un collegamento tra morte e vita, tra passato e futuro, che non si spezzerà mai.  In scena il vortice dei ricordi è rappresentato da una continua danza: come in Ballarini, i ricordi e i morti ballano con i vivi, volteggiano, fanno scorrere la vita in un vortice a ritroso che, inevitabilmente e secondo le leggi di natura, ad un certo punto si arresta. Il protagonista tira una catena, che appunto non è una corda, da dietro le quinte: alla fine questo legame si arresta, la catena in tensione si allenta, si arrotola, cade sul palcoscenico, la solitudine e il silenzio ripiombano nella casa, i morti spariscono. Nessun elemento che caratterizza questo spettacolo risulta angosciante o triste, ma questo lavoro è da considerarsi come una profonda riflessione sulla vita, colorata da una bellissima poesia del ricordo e dell’amore. Anche in questo spettacolo si ripresenta un’altra tematica che ritorna nella produzione di Emma Dante: la famiglia sgretolata. Apparentemente presente e unita, sebbene i suoi protagonisti siano per lo più anime dei morti, in realtà racconta di un padre sempre lontano e assente perché disperso in mare, di una madre triste ma che “balla la vita”, ricordando la madre de Le sorelle Macaluso, di un rapporto violento tra lo zio e la zia raccontato attraverso l’immagine di un amore morboso e malato, di uno zio Pedro che viene dalla Spagna e che ricorda personaggi della letteratura spagnola dalle fattezze caricaturali, di Pasqualino tuttofare – attore di colore e di lingua francese – ed infine delle tre sorelle, dai nomi floreali, non a caso Primula, Rosa e Viola (forse la nascita, la vita e la morte?), di memoria basiliana, morte in giovinezza e una di queste raffigurata con una bambola.  Il riferimento alla letteratura di Giambattista Basile è, infatti, volutamente evidente non solo nella caratterizzazione dei personaggi e nelle trame delle loro storie, ma soprattutto nel recupero della lingua napoletana seicentesca che, in questo caso, ha delle deformazioni siciliane camuffate dal napoletano, attraverso un sapiente impasto linguistico che presenta una fortissima struttura di base napoletana tratta da una lingua antica, a tratti fortemente poetica ed elevata, in altri momenti tendente alla parlata popolare, o apparentemente tale, inframezzata da prestiti di derivazione siciliana. Lo spettacolo chiude il cerchio con un riferimento straordinario: il nostro protagonista finalmente esce dagli ambienti serrati della sua casa/mente/cuore in cui si affastellano i ricordi e i personaggi e si ritrova ad accendere dei lumini rossi davanti ad una cancellata di un cimitero o di una cappella mortuaria, ricreata velocemente in scena. Ogni personaggio morto appende alla cancellata il “pupo” che lo rappresenta, cioè una marionetta-mummia in avanzato stato di decomposizione che ha fissato la connotazione fisica e ha bloccato in qualche modo l’età di questi personaggi. L’immagine che si presenta sembra quella dei pupi dell’Opera siciliana riposti dopo lo spettacolo. Il ricordo, però, vola immediatamente alle Catacombe dei Cappuccini di Palermo, al centro della città, le cui stanze sotterranee sono costituite da lunghi corridoi silenziosi riempiti da centinaia di mummie di uomini, donne, bambini, in abiti dell’epoca. Queste mummie sono appese per lo più dal collo, come i nostri personaggi in scena, marionette funeree che hanno concluso il loro spettacolo, in attesa di rivivere il prossimo 2 novembre, ancora una volta come in una vera e propria festa di famiglia, affinché i ricordi della vita, positivi o negativi, si mantengano ancora in vita. Anche noi attendiamo di rivedere ancora questo spettacolo, costruito in scena attraverso straordinari attori italo-francesi, alcuni già conosciuti dal pubblico italiano perché da tempo a fianco della stessa Emma Dante.

PUPO DI ZUCCHERO

La festa dei morti

liberamente ispirato a “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile
testo e regia Emma Dante
con Tiebeu Marc-Henry Brissy Ghadout, Sandro Maria Campagna, Martina Caracappa, Federica Greco, Giuseppe Lino, Carmine Maringola, Valter Sarzi Sartori, Maria Sgro, Stephanie Taillandier, Nancy Trabona
costumi Emma Dante
sculture Cesare Inzerillo
luci Cristian Zucaro
foto di scena Ivan Nocera produzione Sud Costa Occidentale, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale,
Scène National Châteauvallon-Liberté, ExtraPôle Provence-Alpes-Côte d’Azur, Teatro Biondo di Palermo,
La Criée Théâtre National de Marseille, Festival d’Avignon, Anthéa Antipolis Théâtre d’Antibes, Carnezzeria
e con il sostegno dei Fondi di integrazione per i giovani artisti teatrali
della DRAC PACA e della Regione Sud

Durata: 55 minuti (atto unico)