Il racconto di sé. Relazione dei corsisti.

Si pubblicano qui le prime due relazioni dei corsisti che hanno partecipato alla X Edizione del Seminario con Enzo Moscato, Il Racconto di se, svoltosi il 28 Febbraio,1,3 e 10 Marzo 2023, presso la sede dell’Associazione Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo
(Via Matteo Schilizzi, 16 – 80133, Napoli)

Nei giorni 28 febbraio, 1,3,10 marzo, ho preso parte al seminario “Il racconto di sé” con Enzo Moscato. 
A differenza degli altri corsisti, non ho mai frequentato un’accademia teatrale, un corso di recitazione o dizione perché non mi sono mai sentita (sento) “chiamata” per il ruolo di attrice; tuttavia, mi hanno sempre affascinato i giochi di luci, le sfumature e la suggestione che la luce stessa crea in una sala teatrale. Di conseguenza ho deciso di avvicinarmi al mondo del teatro iscrivendomi al corso di Laurea in Discipline visive, della musica e dello spettacolo per avere una visione a 360 gradi. 
L’esperienza con il maestro Moscato è stata particolarmente toccante, mi ha permesso di entrare in un mondo fatto di passione pura, di amore e l’incontro con ragazzi di età diversa ed esperienze diverse mi ha fatto comprendere quanto il mondo dell’arte e in particolare del teatro sia profondo, intenso al punto di sconvolgerti; nonostante avessimo esperienze diverse e obiettivi diversi ho riscontrato lo stesso desiderio: vivere di arte e di tutte le sue mille sfaccettature.
Il maestro ci ha mostrato sia i lati positivi, ma soprattutto i lati negativi di questo mondo affermando “se volete veramente vivere di questo, dovete conoscere soprattutto i lati negativi e il malessere che può recarvi il teatro”. Questa è la frase che più mi ha colpito e che mi ha fatto comprendere che sto seguendo la strada giusta e che, nonostante le salite che dovrò scalare, solo in cima potrò godere del panorama e so che sarò ripagata di tutti gli sforzi. 
A parole è difficile spiegare ciò che questa esperienza mi ha lasciato; spero in futuro ci siano altre occasioni di confronto alle quali sicuramente parteciperò.
Emanuela Cacciapuoti



L’ARDITA CHIAMATA
È la testimonianza del seminario svoltosi presso l’Associazione Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo con il maestro Enzo Moscato, un racconto intimo e personale di un percorso di vita, artistico e poetico di una tra le figure più significative ed uniche della drammaturgia napoletana e del teatro italiano più in generale.
I quattro incontri, introdotti e condotti dalla Professoressa Antonia Lezza, ci hanno portato ad esplorare il percorso di vita del drammaturgo, frutto anche degli incontri significativi con altri grandi maestri, divenuti poi compagni di viaggio, un viaggio nel quale il grande Enzo Moscato si è immerso e contaminato.
Oggi come ci racconta lo stesso Maestro: “…io faccio parte di una generazione orfana, forse l’unico che può riportare, ricordare e narrare di quella magnifica esperienza umana e culturale forgiata da altri grandi attori ed autori impegnati, testimoni anch’essi dell’arte come vocazione, come richiamo che, con coraggio ed audacia, spinge gli esseri senzienti ad indagare il sotterraneo, ciò che è celato ai più, per far riemergere una scintilla nell’animo umano e trasformarla in genuina ribellione”.
Così Moscato ci ha raccontato di Leo, di Annibale e tanti altri suoi compagni di avventura, sottolineando come attualmente ci si trovi in questo stato di cose anche perché i grandi che avrebbero potuto accompagnarci e guidarci fino ad oggi, non ci sono più.
“E adesso non sento il fuoco, la rivoluzione” ripete sconfortato il Maestro, “il teatro si impara facendolo ma nessuno lo fa più, aspettano tutti la chiamata, l’attore invece dovrebbe sentire dentro qualcosa che ribolle, che lo spinge ad avvicinarsi a quel mondo; per fare teatro c’è bisogno di rischiare, aprirsi alla sorpresa.”
“… una Chiamata…Vocatio…Appellatio” ama tramandarci con forza Moscato durante questi incontri, “…far teatro è come essere missionari”, una grande medicina ma che contemporaneamente può essere anche un grande veleno se non la si dosa bene.
“Fare teatro serve per vedere la meta, chi sei realmente, cosa vuoi, quali doppi di te vai cercando” e l’esigenza di far teatro nasce in fondo sempre da un malessere interiore, da un non accettarsi, da un profondo bisogno di conoscere qualcosa di più di sé stessi per tentare di superarsi, superare dei limiti e le proprie paure.
Così il Maestro ha fatto, raccontandoci delle sue insicurezze iniziali, includendo anche lo scarso gradimento della sua voce, del suo essere silenzioso e taciturno per timidezza, e di come poi, grazie alla vocatio e all’amore, sia riuscito a superare questi dubbi, plasmando un teatro fatto di musicalità, parole, melos che toccano l’animo dello spettatore. Quella voce che pareva uscir a fatica, si fa invece – Lingua, Carne, Soffio-, carne, corpo e alito vitale per trasmettere un messaggio segreto, un mistero, senza mai dimenticare, però, che il suo “..cantare sia un atto di timidezza e non di sfacciataggine”; così gli echi e le suggestioni assorbite da bambino tra quei vicoli angusti dei Quartieri Spagnoli, tra quelle voci, canti e grida, ritornano con potenza nella sua poetica e nel suo immaginario.
Un dialogo quindi tra passato e presente, mentre il suo spirito resta ben radicato nell’odierno che, con coraggio e generosità, tenta di aprire uno squarcio nei veli dell’apparenza; ci parla di “tradinvenzione” e della necessità di riscrivere continuamente, dar nuova linfa anche a un classico, qualcosa che ha uno statuto che è tradizionale e che appartiene al passato.
Non si può prescindere dalla tradizione ma occorre anche distaccarsi da essa, allontanarsene per poi ritornarci con uno sguardo nuovo ed un’altra voce.
“Nel teatro non ti puoi vedere…”; il teatro è un’arte che presuppone lo sguardo dell’altro, l’attenzione, la paura:
“l’unica passione della mia vita è stata la paura” ama sottolineare Moscato parafrasando il filosofo inglese Hobbes e il Teatro è proprio lo sforzo di vincere questa paura e “di solito i più bravi sono proprio i più timidi”.
Ma “il Teatro fa male”, ci ricorda in più battute il Maestro. Fare teatro comporta reggere la non comprensione, l’insuccesso, i sacrifici, le rinunce; ma fa male anche fisicamente. Le cadute, la fatica e il sudore si amalgamano in un percorso tortuoso e scosceso riservato solo ai più audaci e persistenti. Commentando appunto Don Abbondio dei Promessi Sposi il quale dice che “il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”, Moscato risponde con fermezza invece che “uno il coraggio se lo deve dare altrimenti siamo nell’immobilità, nell’apatia e nell’abbandono”.
Senza quello spirito però, senza quella necessità che pulsa e cova dall’interno, non si può far niente né tanto meno il teatro:
“Seguire una fascinazione che hai dentro”, continua il Maestro, “…oggi non c’è più un sentire, non sentiamo neanche più noi stessi” e dunque ecco il nichilismo dei giorni nostri, l’indifferenza, la pigrizia e lo sconforto che aleggia sull’umanità tutta.
Ma anche se la paura di Moscato è proprio quella che un giorno il teatro possa scomparire, a causa di quella fiamma che, fioca, sommessa e fragile non riscalda ed alimenta più lo spirito umano, il suo sguardo, la sua delicatezza e forza non ci portano però nell’oblio ma ci spingono verso un senso di responsabilità, nel seguire la propria chiamata, nel tentare, perseverare e farlo con coraggio soprattutto. “Il Teatro stesso deve diventare luogo di Resistenza!”, ripete il Maestro, un luogo di conflitto, proprio in senso bellico, per come si scrive, si porta in scena e si tramanda.
Questa dunque l’unica possibilità di salvezza contro il disumano che avanza ma ciò comporta la fatica e il peso dell’essere indipendenti; non accettare compromessi, essere un non allineato, un contestatore, come piace definirsi il Maestro.
Solo in tal modo si è veramente liberi di seguire il proprio intuito, la propria strada e riuscire a far accadere necessariamente ciò che vive nel profondo, interiormente, anche fuori di sé. Deve esserci un forte rapporto tra ciò che si è e ciò che si fa, ciò che accade dentro e fuori di sé. La rivoluzione consiste in questo. E il genio risiede nel coniugare e unire gli opposti.
Francesco Cerrone