GUIDA AI FILM E DOCUMENTARI SUL TEATRO
Dalla scena allo schermo. Film e documentari sul Teatro al Film Fest di Roma
di Gius GARGIULO
Non c’è nulla di più teatrale e più cinematografico insieme, del rosso spazio sacro di ogni filmfestival, delimitato dal Red Carpet, il cuore palpitante del rito. Qui a Roma per la diciottesima edizione della manifestazione (18-29 ottobre 2023), il grande spettacolo è il pubblico della Capitale che vive l’evento tra l’entusiasmo pagano di una festa papalina per un santo patrono e lo stupore felliniano per questo gigantesco set montato all’Auditorium della musica, trasformatosi nel foro di una Roma mini-imperiale del cinema, tra il palazzetto dello sport di Nervi e lo stadio Flaminio. In tanto rosso risaltano i carabinieri, alti e solenni in uniforme nera, sciabole e speroni luccicanti, già con le facce di attori nel ruolo e le starlette che portano a spasso le gambe generalmente in stivali e minigonne di cuoio stanco di tanti vai e vieni o in abiti di lamé e paillettes e scollatura da festival, a caccia di pochi secondi di celebrità racchiusi in un selfie. E poi bellocci portatori sani di riccioli fossilizzati dal gel, centinaia di fan frementi e urlanti, pigiate dietro le transenne in attesa del divo sognato e desiderato, scolaresche vocianti eccitate, coppie di fidanzati teneri e timidi, di pensionati già vecchi nel look o di vecchi che non vogliono invecchiare, tutti uniti dal braccio alzato con lo smartphone per fotografare e fotografarsi. Infine gli addetti ai lavori con il badge al collo, i custodi del tempio: falangi di cineoperatori e di fotografi dietro i teleobiettivi a cannone, giornalisti e critici dall’andatura sciolta e un po’annoiata in attesa dell’arrivo degli attori che appaiono all’improvviso smaglianti su questo palcoscenico all’aperto, leggeri sul rosso di un tappeto volante che sembra averli depositati all’improvviso tra i comuni mortali direttamente dall’Olimpo della celebrità. Anche quest’anno al film Fest di Roma teatro e cinema vanno a braccetto, come logica vuole, nell’interazione tra le arti voluta dalla direttrice Paola Malanga, per questa edizione maggiorenne. Segnaliamo prima i film ricavati da opere teatrali come Tante facce nella memoria, di Francesca Comencini, dove sei donne, sedute in fila l’una accanto all’altra sullo sfondo scuro e spoglio di un teatro, raccontano la tragica storia. Si chiamano Lucia Ottobrini, Carla Capponi, Luisa Musu, Ada Pignotti, Vera Simoni, Gabriella Polli, sono mogli, madri e figlie di sei di quei 335 uomini che furono fucilati e interrati in una fossa comune il 24 marzo del 1944 alle Fosse Ardeatine. Popolane o piccolo borghesi, gappiste o figlie di generali e ingegneri: tutte devono e vogliono raccontare, con pena, rabbia e testardaggine. Francesca Comencini porta sullo schermo lo spettacolo teatrale da lei curato con Mia Benedetta, tratto dalle registrazioni raccolte da Alessandro Portelli tra il 1997 e il 1999, un lancinante racconto orale cui il ritmo del montaggio conferisce una suspense dolorosa ed emozionante. Con Mia Benedetta, Bianca Nappi, Carlotta Natoli, Lunetta Savino, Simonetta Solder, Chiara Tomarelli. Invece con Misericordia, nella luce della Sicilia, Emma Dante trasporta, in parte, in esterni l’universo famigliare e ferino del suo testo Misericordia, che in teatro era chiuso nel buio di una stanza. Accorato e dolente, acceso dai colori fiammanti degli abiti e delle lane e dall’azzurro fondo del mare, un pietoso e indignato atto di fede nella forza e nell’umanità delle donne, materne lottatrici in un mondo di maschi non certo encomiabili. Nel cast Simone Zambelli, Simona Malato, Tiziana Cuticchio, Milena Catalano. In Dall’alto di una fredda torre di Francesco Frangipane, con Edoardo Pesce, Vanessa Scalera, Anna Bonaiuto, Giorgio Colangeli, Elena Radonicich, Massimiliano Benvenuto, un brutale dilemma si impone alla coscienza: «Chi butteresti dalla torre?». Da sgradevole gioco di società, diventa angosciante quando si riflette sulla vita vera, soprattutto se si tratta di buttare dalla torre la madre o il padre. Elena e Antonio e i loro genitori, entrambi affetti, senza saperlo, da una malattia rarissima. Solo uno dei due può essere curato e salvato, e i figli devono decidere chi sacrificare. Dopo averla messa in scena nel 2015, Francesco Frangipane dirige il film tratto dall’opera teatrale omonima di Filippo Gili (anche sceneggiatore), secondo capitolo della Trilogia di mezzanotte, preceduta da Prima di andare via e seguita da L’ora accanto. Sei personaggi (la famiglia e due medici) in cerca di una decisione dolorosissima. Elegante, smagliante e fiabesco, Shakespea Re di Napoli di Nadia Baldi e Ruggero Cappuccio, con Alessandro Preziosi, Giovanni Esposito, Jacopo Rampini, Peppe Servillo, Nando Paone. « Non fui uomo. Non fui mai donna. Fui quello che per anni si era nascosto in fondo al mio nome. Desiderio fui, desiderio di essere quello che volevo essere». Parole di W. H. (Will Heart: Desiderio e Cuore), il misterioso personaggio cui sono dedicati i 154 Sonetti di Shakespeare, via via individuato in gentiluomini diversi, che Ruggero Cappuccio, nello spettacolo teatrale omonimo, divenuto film per dar vita ad una inventiva e multiforme fiaba partenopeo-shakespeariana, identifica nel giovane bellissimo attore napoletano che il drammaturgo portò con sé in Inghilterra per fargli interpretare le sue eroine. Si tratta dell’attore fanciullo del teatro di Shakespeare: di colui che, come scrive Wilde, fu primo e indimenticabile interprete di Viola, Desdemona, Rosalinda, Giulietta. Tra il mare, le rocce, il villaggio e il castello nel quale si svolge un’ambita festa di Carnevale, la sonorità della lingua napoletana si fonde con gli endecasillabi del Bardo, mentre Alessandro Preziosi ripercorre la propria fantasiosa avventura inglese. I documentari che filmano e raccontano spettacoli teatrali proiettati alla mostra sono sempre numerosi come quello dedicato alla indimenticabile Maria Callas dal titolo: Maria: lettere e memorie di Tom Volf e Yannis Dimolitsas, con Monica Bellucci.Il film racconta il tour internazionale, dal novembre 2019 al gennaio 2023, dello spettacolo teatrale Maria Callas: lettere e memorie, interpretato da Monica Bellucci e diretto da Tom Volf. Un confronto tra due epoche, quella di oggi e quella di ieri, e la sintonia tra due donne che, anche se provengono da ambiti diversi, sono accomunate dall’amore per l’arte.Dopo Maria by Callas, del 2017, Tom Volf torna sulla”Divina” della lirica del XX secolo, ripercorrendone la vita, dall’infanzia a New York agli anni trascorsi ad Atene, dal debutto alla fama internazionale, alle passioni personali. I materiali d’archivio si fondono con la musica e con l’appassionata interpretazione di Monica Bellucci. Nel toccante e preziosodocumentario, Via Sicilia 57/59. Giorgio Albertazzi. II teatro è vita, di Fabio Masi e Pino Strabioli si ritorna al 2015, quando Giorgio Albertazzi tentò di promuovere la riapertura del Teatro delle Arti di Roma, inaugurato nel 1937 e abbandonato da decenni. Quel teatro chiuso torna a vivere attraverso i ricordi di Albertazzi, fermati con cura dall’amico Alessandro Giupponi, dai quali emergono con una vitalità lieve e struggente i segni di Guttuso o De Pisis, le note di Petrassi e Stravinskij, le voci delle due “Anna” (Magnani e Proclemer) e ancora Sergio Tofano, Eduardo, Vittorio Gassman, Vittorio De Sica, Federico Fellini, Carmelo Bene. Questo filmato, insieme a materiali d’archivio della Rai e dell’Istituto Luce, rappresenta il cuore del film scritto e diretto da Strabioli e Masi per celebrare il centenario della nascita di Giorgio Albertazzi. Si continua con la commemorazione dei teatri in Scarrozzanti e spiritelli. 50 anni di vita del Teatro Franco Parenti di Michele Mally che rievoca Il 16 gennaio del 2023, 50° anniversario del Teatro Franco Parenti, celebrato con una serata ideata da Andrée Ruth Shammah che, con gli amici e i collaboratori, riprende i momenti, le voci, i volti di questo “teatro mondo”, alla cui nascita e crescita lei contribuì giovanissima insieme a Franco Parenti e Giovanni Testori. Raccolti attorno a un piccolo fuoco acceso sul palcoscenico, si susseguono tutti, mentre sfilano immagini delle grandi messe in scena e spezzoni del dialogo tra Filippo Timi e Shammah. Tutti i fatti umani, tutte le azioni umane cominciano sempre con un sogno. I sogni sono sempre espressi in parole. Il termine ebraico «davar» vuol dire nello stesso tempo «parola» e «azione». Non potrebbero esserci frasi più giuste per descrivere il teatro. La frase è quella che Amos Oz nel 2007 scrisse su un foglietto deposto tra le assi del palcoscenico del Teatro Franco Parenti, che stava per essere riaperto. 135 minuti che vorresti allungare ancora per tanta nostalgia intelligente nel ricordo di un’epopea dall’anima genuinamente Rock, televisiva e di grande teatro impegnato in Io, noi e Gaber di Riccardo Milani con Claudio Bisio, Fabrizio Centorame, Ombretta Colli, Ivano Fossati, Dalia Gaberscik, Ricky Gianco, Gino & Michele, Paolo Jannacci, Lorenzo Jovanotti, Mogol, Vincenzo Mollica, Gianni Morandi, Massimiliano Pani, Paolo Dal Bon, Presidente della Fondazione Gaber. Il signor G: «Mi chiamo G», «No, guarda che io mi chiamo G». Doppio Giorgio Gaber, oppure Gaber e Mina in un duetto televisivo, uno dei tanti, preziosi brani d’archivio che raccontano la storia, la musica, il teatro di Gaber, dal tenero, oggi malinconico, Non arrossire degli esordi, al Rock nel quale si confrontava con Celentano, ai surreali numeri con Jannacci, alle canzoni milanesi con Maria Monti, all’enorme popolarità televisiva e al ritorno al teatro puro, quando Gaber decise di esibirsi solo sul palcoscenico, dando voce al suo impegno politico e culturale. A vent’anni dalla scomparsa dell’artista, anche attraverso la voce di famigliari e amici, Riccardo Milani ne ripercorre la carriera e ne ricostruisce la personalità, sottolineando l’importanza della sua musica oltre che delle sue indimenticabili parole. Riccardo Milani restituisce il genio debordante di Giorgio Gaber e la sua imprescindibile eredità nella cultura italiana, nel documentario realizzato tra i suoi luoghi più amati, Milano e Viareggio, ripercorrendo la sua vita ma anche interpellando chi lo ha conosciuto e quell’eredità l’ha raccolta, Tutto inizia nella magica congiuntura artistica che fu la Milano di metà anni’50. Gaber suona il jazz nei locali, poi si unisce alla band Rock di Adriano Celentano dove conosce Enzo Jannacci, anima surreale come la sua: il loro sodalizio durerà una vita intera. Ma il film ci restituisce anche gli iconici duetti con Mina in tv a Teatro 10 e poi l’invenzione, con Sandro Luporini, del Teatro Canzone, la formula perfetta che unisce tutti i punti dell’arte del Signor G: musica, satira, impegno politico e una straordinaria presenza scenica. A fare il ritratto privato dell’uomo sono la moglie Ombretta Colli e la figlia Dalia Gaberscik. «Giorgio Gaber è stato una persona importante della mia vita», dice Riccardo Milani. «Da piccolo mi ha divertito con l’allegria di Goganga, Il Riccardo o La Torpedo blu, e dal liceo in poi mi ha fatto avere uno sguardo sul mondo segnando il mio percorso di formazione. È stata una voce importante per tutti noi anticipando quello che poi si à avverato, prevedendo che l’ideologia del mercato avrebbe schiacciato oggi tutte le altre, segnando una disperata continuità tra lui e Pier Paolo Pasolini». A Gaber, «libero ma senza retorica», come dice Ivano Fossati, non servivano sermoni ma pochi versi di una canzone: così ci ha insegnato che «i blue-jeans che sono un segno di sinistra, con la giacca vanno verso destra», e soprattutto che «libertà è partecipazione». Il Signor G sapeva metterci davanti alle contraddizioni politiche, sociali e persino esistenziali del nostro presente. Ecco perché, come dice Milani, «Gaber ci serve ancora, e ci serve adesso».