L’immaginazione sostiene la vita e sabota la realtà. “Se son fiori moriranno”, il nuovo lavoro firmato da Rosario Palazzolo entusiasma il pubblico napoletano

di Emanuela FERRAUTO

La drammaturgia di Rosario Palazzolo presenta una firma ben precisa, specificatamente caratterizzata e strutturata in maniera riconoscibile. Ne ritroviamo tutti gli elementi, le sfumature e le univoche definizioni anche all’interno di questo nuovo spettacolo e di questo nuovo testo, prodotti che raggiungono uno dei livelli più alti della scrittura del drammaturgo palermitano. Ogni elemento di questo spettacolo è riportato in scena con la massima cura, attraverso una costruzione tessuta con maestria e con attenzione rivolta al pubblico. Gli spettatori diventano protagonisti muti, ma espressivi, nell’interazione con le attrici in scena, rivelando pensieri e riflessioni che non ci abbandonano mai, durante tutta la durata dello spettacolo. 
Dopo aver osservato e analizzato la drammaturgia di Palazzolo, conoscendone quindi personaggi e tematiche, ritroviamo anche in questo spettacolo la ricerca su argomenti d’attualità, conosciuti sicuramente dal pubblico, ma raramente indagati attraverso punti di vista intimi, che si collegano inevitabilmente allo studio della psiche, delle reazioni e dei comportamenti del genere umano. Pur costruendo la storia su tematiche di attualità, per lo più argomenti che pongono l’accento su contrasti, sull’etica, sul pensiero personale e sociale, Palazzolo si intrufola nell’animo dei suoi personaggi, soprattutto donne o pseudo donne, ricordando Letizia Forever, o uomini che inevitabilmente vivono e sentono le percezioni profonde delle donne. Ancora una volta, come abbiamo spesso sottolineato, anche in questa storia compare una famiglia smembrata, in cui è assolutamente assente la figura maschile, come sottolinea la protagonista, mentre la madre diventa cardine dell’intera vicenda e la figlia appare come anello debole (sulla famiglia smembrata nella drammaturgia siciliana contemporanea e su questi rapporti cfr. E. Ferrauto, La drammaturgia siciliana contemporanea e il grottesco familiare: follia, solitudine e morte, in Antologia Teatrale. Atto Secondo, a cura di A. Lezza, F. Caiazzo, E. Ferrauto, Napoli, Liguori, 2021).
Anche in questo testo ritroviamo due elementi fondamentali della poetica di Palazzolo, ossia la costruzione a ritroso e il cortocircuito, che convivono inevitabilmente attraverso un’osmosi inscindibile, poiché il cortocircuito è già avvenuto, i personaggi ne sono vittime, ma lo spettatore ha la necessità di comprendere quale sia il momento di rottura, raggiungendolo attraverso un percorso a ritroso. Ricompare anche la presenza dell’osservazione esterna, cioè il personaggio innominato, ma presente fisicamente o voluto e immaginato dal pubblico, che esplora la psiche della protagonista, attraverso domande ben precise, simili a quelle di uno psichiatra, di uno psicologo, di un assistente sociale affiancato da professionisti esperti.
L’ambiente è di solito serrato e in questo spettacolo le due attrici si muovono all’interno di una stanza sprangata, il cui esterno si percepisce attraverso le lacerazioni nella carta da parati, da cui entrano raggi di luce e lampi che, grazie alle sapienti operazioni del light designer Gabriele Gugliara, spesso “parlano” e interagiscono con il testo e con la splendida scena firmata da Mela Dell’Erba, realizzata in collaborazione con gli studenti del Corso di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Palermo. Ogni singolo oggetto, infatti, e ogni singolo elemento della scena, ricca di giocattoli e di bambole, conversano costantemente con i personaggi e con il pubblico, inserendosi perfettamente in quel prezioso mosaico che è questo testo. Un fiume di parole interpretate dalla splendida Simona Malato, madre protagonista, attrice da un curriculum invidiabile che attraversa teatro, cinema, film. La sua interpretazione, di cui sicuramente sentiremo parlare a lungo, incarna le molteplici sfaccettature del contrasto realtà-fantasia, sogno-concretezza, dolore-felicità. Quest’attrice riesce a recitare, nel vero senso della parola, dunque ad interpretare e a pesare ogni singola frase, emozione ed espressione che costituiscono il suo personaggio: dalla risata irrequieta al pianto, dalla disperazione alla fortissima, lacerata ed intensa forza materna.  Adele vive un mondo ricreato dalla sua immaginazione, necessaria per la sua sopravvivenza, sbilenca e malata anch’essa, ma dolorosamente reale. La volontà che si rafforza in lei è data dalla presenza di una figlia malata, di cui non sveleremo il corto circuito citato, poiché toglieremmo il pathos che lo spettatore deve necessariamente vivere durante la messinscena di questo spettacolo. La donna addita gli spettatori come “alieni”, non riesce a percepirne il corpo, ma nota e descrive bene i volti, spingendo ognuno di noi a immaginare come ci vedono gli attori dal palcoscenico. La quarta parete crolla, la donna parla e cerca di interagire con le persone sedute in platea, scende, risale sul palcoscenico, sfonda continuamente quella quarta parete della stanza serrata, prima quella dell’ospedale, poi quella della sua casa. Gli alieni siamo tutti noi, che guardiamo lei come un’aliena, come una donna non lucida, non serena. Noi rappresentiamo, in effetti, quella società sorda e cieca che non riesce a comprendere e assumersi le responsabilità. L’immaginazione e la lettura sono il solo sostegno di una donna poco colta che legge e rilegge l’enciclopedia “di Agostino”, e non De Agostini, perché ha sete di conoscenza per risolvere il cortocircuito che ha colpito la figlia. La lingua creata da Palazzolo e affidata alla protagonista è un italiano apparentemente regionale, in cui il dialetto deforma i modi di dire e le parole in lingua standard, deforma continuamente le frasi, rendendo teneramente simpatica e accogliente questa mamma, di cui sorridono inizialmente gli spettatori. Lo stesso titolo ne è un esempio: Se son fiori moriranno, che introduce anche uno dei contrasti più importanti di questo spettacolo, ossia quello tra la vita e la morte. La storia di Adele, che conosceremo a ritroso, ci coinvolge poiché ci ricorda una nostra vicina di casa, una zia un po’ svampita, la mamma di un compagno dei nostri figli, una signora conosciuta al mercato che “attacca bottone” e racconta la sua vita. Ma dimostra una forza incredibile che si frantuma davanti alle domande della voce esterna, interpretata dall’attrice Delia Calò, seduta tra il pubblico, in ultima fila. Adele resiste, chiede aiuto agli “alieni”, forse la sua ultima speranza, e si frantuma psicologicamente, così come le scene crollano alla fine dello spettacolo, insieme alle quinte e alla porta sprangata, mentre la quarta parete si issa nuovamente prepotente e invisibile. Gli spettatori-alieni scompaiono, l’immaginazione sparisce, Adele deve fare i conti con la realtà, con la sua vita, con il destino di sua figlia. In scena, nelle vesti della giovane, troviamo la bravissima Chiara Peritore che deve sostenere una parte complessa, in cui la ragazza-bambina incarna tutto ciò che è stato e, attraverso le sue azioni, permette al pubblico di ricostruire a ritroso e di arrivare al terribile cortocircuito. L’unione tra queste tre donne attrici, tutte diverse e tutte con una funzione ben precisa, crea un’unica struttura che rappresenta le molteplici sfaccettature volute e analizzate dall’autore e regista.
L’intero spettacolo è sicuramente costruito su un testo corposo, importante e pieno di riferimenti – basti pensare agli spettatori-alieni che ogni tanto compaiono agli occhi di Adele come i Sei personaggi in cerca di autore pirandelliani o la prima scena in cui la figlia giace riversa in una vasca da bagno, ricordando memorie pittoriche o filmiche – , ma ciò che accompagna le emozioni degli spettatori è anche la musica, sempre presente con la funzione di un vero e proprio personaggio all’interno degli spettacoli di Rosario Palazzolo. Le musiche originali di Gianluca Misiti sono intense, emozionanti, accarezzano le parole delle attrici, le sostengono costantemente, alternano stati d’animo profondi e momenti di altissima tensione, rappresentano esse stesse la personificazione scenica delle emozioni della protagonista e di quelle provate da tutti gli spettatori. 
Il pubblico napoletano, numerosissimo tanto da esaurire tutti i posti durante tutte le repliche previste al Piccolo Bellini, dal 13 al 18 febbraio, si emoziona, alternando risate, lacrime, commozione, sospiri, ansie, per poi esplodere in un applauso spontaneo, prima del buio finale. Ringraziamo Rosario Palazzolo per averci regalato ancora tante emozioni e tante riflessioni, che potremo approfondire in altra occasione, poiché lo stesso autore definisce questo spettacolo il primo atto di un Dittico del sabotaggio. L’immaginazione, in effetti, è l’unico elemento che riesce a sabotare la realtà per aiutarci a sopravvivere.

Foto di Rosellina Garbo

SE SON FIORI MORIRANNO
Piccolo Bellini Napoli
13-18 febbraio 2024
testo e regia Rosario Palazzolo
con Simona Malato, Chiara Peritore, Delia Calò
e la voce di Delia Calò
scene e costumi Mela Dell’Erba
musiche originali Gianluca Misiti
light designer Gabriele Gugliara
aiuto regia Angelo Grasso
direttore di scena Sergio Beghi
coordinatore dei servizi tecnici Giuseppe Baiamonte
macchinisti Giuseppe Macaluso, Gaetano Presti
scene realizzate con la collaborazione degli studenti del Corso di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Palermo: Salvatore Emanuele, Gaia Giacalone, Simona Saiola, Micol Adelaide Spina
produzione Teatro Biondo Palermo