IL FIORE CHE TI MANDO L’HO BACIATO come laboratorio di « filologia commossa » e di creatività rigorosa, all’Università di Bologna
di Gius GARGIULO
È particolarmente stimolante leggere sul sito dell’Università di Bologna ed anche sulla newsletter del Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo di iniziative epistemiche e scientifiche volte alla formazione dell’intelligenza testuale e della sua analisi critica in chiave creativa. Infatti nel Laboratorio di Letteratura Teatrale Italiana, nell’ambito del Corso di Laurea Magistrale in Italianistica, culture letterarie europee, scienze linguistiche dell’Università di Bologna per il prossimo anno accademico 2024-2025, il collega Luca Vaccaro responsabile di questo pertinente e stimolante seminario specialistico, propone agli studenti un Laboratorio per lo sviluppo creativo di nuovi testi teatrali possibili a partire dalle componenti di altri già collaudati dalla messa in scena, proposti come modelli di analisi nelle stratificazioni testuali semantiche unite alle scienze linguistiche e all’analisi critica. In effetti il ruolo strategico di questo seminario verte sulla capacità dello studente di osservare e penetrare il testo come sistema di sistemi nelle sue componenti espressive. Proprio il testo teatrale in questa ottica esegetica si presta in maniera esemplare a un percorso di analisi come una specie di «back tracking» o «monitoraggio a ritroso» filologico ed ermeneutico simile ad una tecnica di ingegneria letteraria, per trovare soluzioni a problemi in cui devono essere soddisfatti dei vincoli enumerando le possibili soluzioni e scartando quelle che non sono soddisfacenti. Quindi un ritorno all’indietro fino ai nuclei genetici che determinano la formazione di un’opera e successivamente la sua messa in scena, dalla parola scritta che ridiventa fonema da cui si ricavano il piano dell’espressione e del contenuto articolati in forma, materia e sostanza della parola e della frase, quasi mi verrebbe da pensare, in prospettiva di analisi hjelmsleviana. Se è vero che pensiamo in parole, evidenti sono i parallelismi con gli atti linguistici che esprimono pensieri. Specialmente nel contesto della comunicazione teatrale, pensiero e cognizione includono ovviamente non solo le azioni in enunciati espliciti, ma anche tutti i tipi di presentimenti, speranze, orrori, desideri, preoccupazioni, stupori coscienti o meno. Una somiglianza più profonda fra pensieri e atti linguistici includerebbe anche una distinzione fra modalità e contenuto dei testi per la filologia della commozione. La ricostruzione linguistica permette poi allo studente nel corso del laboratorio di poter costruire a sua volta un testo drammatico nelle sue varie componenti quali il monologo, il dialogo, la parte «patemica» del personaggio per condividere i contenuti del testo stesso «in fieri» con gli altri studenti e poi osservare la creatività artistica e comunicativa che veicola e ingloba i contenuti storici dell’opera. Questa prospettiva storica è circoscritta alla Grande Guerra, nella titolazione del Laboratorio, Filologia commossa» e Teatro: la Grande Guerra, fra ideali, illusioni e «sfortunate battaglie d’amore».I testi che saranno letti e commentati nel corso degli incontri su cui è articolato il Laboratorio per fornire agli studenti le basi creative per ideare soggetti e scene teatrali in vista della stesura dei loro testi drammatici, sono Colloqui coi personaggi e Berecche e la guerra di Luigi Pirandello ed anche Il fiore che ti mando l’ho baciato, la fortunata e premiata opera teatrale, nella scrittura scenica e drammaturgica di Elvira Buonocore e Anna Rita Vitolo, con la regia di Antonio Grimaldi e la premessa di Antonia Lezza, pubblicata dalla napoletana Dante & Descartes come Quaderno dell’Associazione Centro Studi sul Teatro Napoletano Meridionale ed Europeo, 2024. I testi scelti sono focalizzati sulla rappresentazione della guerra, tema antichissimo e recente, sulla carneficina della Prima Guerra Mondiale (1914-1918) che proietta le sue ombre sulle conseguenze della Seconda fino alle disgraziatamente attualissime guerre in Ucraina e in Medio Oriente, le più mediatizzare tra le tante in corso sul pianeta. Il significato profondo di questi prodotti estetici spinge gli studenti e riflettere sul problema delle conseguenze stesse della guerra come fa del resto tutto il teatro classico che ci mette di fronte all’essenziale: la morte portata dalla guerra. Pirandello riflette all’inizio della Prima Guerra mondiale, visitato dai suoi personaggi, sul sacrificio dei figli in partenza per il fronte:
…ecco, non io, non noi, quanti siamo di questa sciagurata generazione a cui è toccata l’onta della pazienza, l’ignominia di quell’alleanza col nemico irreconciliabile, non noi dovevamo correre alla frontiera, ma i figli nostri, nei quali forse il ribrezzo non fremeva e l’odio non ribolliva come in noi. Prima i nostri padri, e non noi! ora, i nostri figli, e non noi! Dovevo restare a casa, io, e veder partire mio figlio » (Colloquii coi personaggi).
Nel Fiore che ti mando l’ho baciato, la parola passa alla generazione dei figli, attraverso le lettere che si scambiano due innamorati, Stamura Segarioli e Francesco Fusco, ufficiale partito per il fronte, in un carteggio d’amore divenuto testo teatrale grazie ad una dotta e « commossa » operazione filologico-drammaturgica di Antonia Lezza. Questo struggente epistolario che è divenuto testo teatrale non come semplice reading o lettura teatrale tradizionale ma attraverso una complessa drammaturgia racconta due anime sensibili coraggiose in un’unica voce accorata, palpitante di vita e dolente affidata alla sensibilità dell’attrice Anna Rita Vitolo. Per queste caratteristiche drammatizzate, Il fiore che ti mando l’ho baciato, si presta pertinentemente al lavoro di riscrittura del Laboratorio di Letteratura Teatrale Italiana per il prossimo Anno Accademico. La lingua affettiva dei due innamorati mette in scena i traumi collaterali della guerra che poi lega e trascina in un buco nero le giovani vite quando stanno sbocciando come il fiore che la giovane protagonista recide e bacia inviandolo con le lettere al suo compagno al fronte. Sono tanti fiori che vengono recisi sia nelle trincee della prima linea, sia nelle retrovie, sia nelle case che si consumano nell’angoscia dell’attesa. Tutti questi elementi e queste cronotipìe affettive diventano spettacolo di un’anima o di anime in cui vanno tenuti in conto tutti i piccoli scarti, tutte le minime emozioni che sono già di per sé una cognizione del dolore a venire. Sono un pezzo di conoscenza e quindi ecco che forse si arriva attraverso queste parole in forma di racconti, lettere e diari a costruire ciò che si vuole far rivivere con una filologia che diviene una fenomenologia della commozione sulla scena. In questo senso la parola contestualizzata nella dimensione teatrale deve essere sempre chiaramente ricollegata allo statuto dei personaggi con una parte didascalica molto importante in modo tale che la Prima Guerra Mondiale che è stata, come sappiamo, l’evento epocale che ha chiuso l’Ottocento e ha aperto la nostra condizione attuale, possa essere anche un elemento di ulteriori riflessioni su quello che stiamo diventando noi ancora oggi confrontati a tante storie come quelle dei personaggi del Fiore che ti mando l’ho baciato. Va ricordato che quest’opera, dopo quasi un decennio di repliche fortunate punteggiate da prestigiosi riconoscimenti, è stata rappresentata il 29 maggio 2024 anche in ambito universitario, presso il Teatro di Ateneo Campus UniSa dell’Università di Salerno, introdotta dal professor Roberto Pantani (Direttore DIIN – UNISA), dalla professoressa Antonia Lezza e da Anna Rita Vitolo (interprete del monologo). Erano presenti Elvira Buonocore (drammaturga), Antonio Grimaldi (regista), e diversi docenti tra cui la professoressa Annamaria Sapienza (Presidente C.D. Davimus DISPAC – UNISA) e la professoressa Aurora Egidio. Il fiore che ti mando l’ho baciato diviene un testo seminale per generarne altri ora che le nuove trincee celebrano una specie di guerra antica anche se tecnologica fatta di droni e missili portatili FGM-148 Javelin, nelle foreste dell’Ucraina, con il ritorno dell’artiglieria pesante da 155 mm e del canto funebre del Ta pum (il «TA» è il rumore dell’innesto della pallottola e il «PUM» il rumore dello sparo dei fucili). Una guerra che commemoravamo come morta e sepolta e che invece la commozione dei sentimenti del Fiore che ti mando scongela nel presente delle immagini e dei racconti che ci arrivano quotidianamente dall’insanguinato fronte orientale europeo di oggi. Non c’è narrazione che non debba affondare in profondità le sue radici in un preciso contesto storico, il solo che può aiutarci a capire meglio le cose. Tante storie si riprodurranno come «transduzione» drammatizzata del Fiore che ti mando. Basta vedere nel campo della creazione cinematografica, a mo’ di esempio, come un film girato durante i primi giorni dell’invasione russa nell’avanzata verso Kiev utilizzi elementi formali e stilemi del neorealismo italiano di Umberto D. e di Roma città aperta come modello formale e contenutistico per rafforzare l’intensità espressiva del film di fiction. È il caso del regista Iurii Leuta (Kharkiv, Ukraine), un ex studente ucraino di Master d’Études Cinématographiques all’Université Paris Nanterre, che riscrive il dramma del suo popolo in questa rigorosa lingua della filologia della commozione nel film Mother del 2022 (https://trempelfilms.com/mother). Il film racconta, nell’Ucraina di oggi, dilaniata dall’aggressione militare, l’incontro casuale di due giornalisti che cercano di coprire le dimensioni della distruzione e della sofferenza e di rimanere vivi, con una donna, una madre, con il suo cagnolino e un trolley rosso che vaga confusa tra le rovine. La cinepresa come nuova stilografica, «Caméra-stylo», termine coniato dallo sceneggiatore, regista e scrittore della Nouvelle Vague francese, Alexandre Astruc, in un articolo del 1948, per auspicare l’uso di una cinepresa mobile, leggera, come una penna che scrive la drammaticità per ricostruire con singole, piccole emozioni quelle che alla fine compongono la grande Storia.