La grande magia. L’arte del re-incanto. 

Dal 22 ottobre 2024 al 2 novembre 2024 il suono di un fischio magico echeggia dal soffitto splendidamente affrescato del Teatro Bellini di Napoli per tutta la durata dello spettacolo La grande magia. Per 120 minuti l’opera teatrale di Eduardo tiene compagnia al pubblico, con la presenza degli undici attori sul palco; alle volte unanimemente presenti in simpatiche scene corali, altre volte a comparsa singola e intermittente, più ambigua – come in certi sogni…

A quarant’anni dalla morte di Eduardo, Gabriele Russo, direttore del teatro Bellini, nonché regista dello spettacolo, lo ricorda con una delle sue opere meno fortunate, che l’autore stesso definì «la commedia che forse mi sta più a cuore e che mi ha dato più dolore», dopo l’insuccesso che aveva ottenuto al debutto del ‘48. Per evidenziare questo aspetto il regista ci fa sentire, prima che lo spettacolo cominci, la voce di Eduardo che spiega la genesi e i contenuti della sua commedia e le incomprensioni che l’avevano accolta al debutto. È chiaro subito a tutti quindi che  ci troviamo in un terreno nuovo (sebbene per alcuni conosciutissimo perché la denuncia che più gli veniva mossa era quella di “pirandellismo”) nel quale Eduardo aveva cercato di uscire dal mondo realistico per sovrapporre ad esso una realtà trasfigurata , una favola della realtà.

 Il tema sostanziale de La Grande Magia è il rapporto tra realtà, vita e illusione: il Professor Otto Marvuglia fa “sparire” durante uno spettacolo di magia la moglie di Calogero Di Spelta per consentirle di fuggire con l’amante, e fa poi credere al marito che potrà ritrovarla solo se aprirà con totale “fede” la scatola in cui sostiene sia rinchiusa: «se voi aprirete la scatola con fede, rivedrete vostra moglie, al contrario, se l’aprirete senza fede, non la vedrete mai più. Aprite, se credete». Così si conclude il primo atto, con gli spettatori che sentono a pieno il disagio che accompagna il protagonista. 

Se Eduardo alla II Guerra Mondiale aveva dedicato la commedia in tre atti Napoli Millionaria; alla società post bellica,  incapace di distinguere il sogno dalla realtà e il bene dal male, dedicava questa commedia. Travalicando i limiti della morale provinciale, si adeguava a quelli della morale universale, laddove la civiltà occidentale non veniva più contestata nelle sue strutture bensì nella mancanza di consapevolezza della propria posizione di fronte alla vita.  

Questo stato di confusione morale, si materializza nello spettacolo, anche visualmente, nella scenografia del secondo atto, ambientato nella misera casa di Otto Marvuglia, dove campeggia un tavolo ingombro di ogni cianfrusaglia, circondato da sedie spaiate e l’ arredamento costituito da poveri mobili. 

Nondimeno è un chiaro tentativo di trattare criticamente gli elementi di corruzione e di disgregazione, che si affacciavano nel dopoguerra e che, nostro malgrado, ancora ci riguardano, ai quali l’autore contrappone con sapienza la figura pura e ingenua di Amelia (felicemente interpretata da Veronica d’Elia), che apre con un tenero monologo il secondo atto e che – simbolo di purezza e inconsapevolezza – non a caso muore prima della conclusione dello stesso con un attacco di cuore. Di fronte alla Morte, Otto il mago appare disarmato, l’illusione non basta! «È un trucco che non conosco – dice – Io che esercito la professione di illusionista, mi presto ad esperimenti esercitati da un altro prestigiatore più importante di me… e così via, via via fino alla perfezione». Tuttavia resiste, e passa a un altro numero di magia!

Ci troviamo in un terreno nuovo anche dal punto di vista linguistico, il dialetto non è così radicato come in altri testi eduardiani; qui  Eduardo si allontana dalla lingua napoletana per proiettarsi alla conquista del teatro in lingua, e lo segue fedele la regia nella scelta dei due attori protagonisti Natalino Balasso (Calogero Di Spelta) e Michele di Mauro (Otto Marvuglia), entrambi straordinari e non napoletani.

Applausi dunque al regista Gabriele Russo, filologicamente fedele a Eduardo, dal quale tuttavia con intelligenza e capacità di attualizzazione si allontana nella visione d’insieme. Il regista infatti non diminuisce l’enfasi eccessiva che caratterizza il testo originale, che indugia oltremodo sul concetto di illusione e sul rapporto tra realtà e finzione. La sua messa in scena è così sicura che si assume il rischio della ridondanza: trova ritmo nei discorsi e nei movimenti delle scene e la direzione orchestrale di questi due elementi fa sì che le ripetizioni risultino meno retoriche e suonino più decisamente dei leitmotiv. 

Gabriele Russo quindi si muove senza difficoltà nel testo eduardiano –  che conserva interamente –  scegliendo di procedere autonomamente sul piano formale. A questo scopo lo spazio scenico evolve, c’è un netto superamento del naturalismo in favore di una messinscena onirica e magica. Spettacolari in questo senso sono i cambi di scena, bello l’effetto creato dai soffiatori che spazzano via i fiori caduti sul palcoscenico tra il primo e il secondo atto.

 Nulla è lasciato al caso, il regista affida in primo luogo alla scenografia di Roberto Crea, e poi alle luci di Pasquale Mari e alle musiche di Antonio Della Ragione una precisa funzione scenica che, a volerla definire, direi “ossimorica”, laddove procede per contrasti. La scena ad esempio concepita per il primo atto mostra un grande giardino all’inglese:  un tappeto di foglie fiancheggiato da aiuole e da vetuste palme, le quali ombreggiano la ricca facciata posteriore del grande albergo Metropole e sul fondo un velino che lascia intravedere una pedana praticabile sulla quale transitano, a momenti, i personaggi, effetto molto suggestivo che allude evidentemente a uno spazio recondito che si oppone a quello concreto al di qua del velo. Questo piano visivo così descritto, al quale contribuisce un continuo movimento di luci e ombre, trova completezza nell’intreccio acustico, caratterizzato da un fondale sonoro continuo sul quale si stagliano note dissonanti ed echi di voci.

Ossimorica è anche la recitazione perché su un clima di mistero e di dramma, si innestano numerosi picchi di comicità. Particolarmente sagace in questo senso è la scena che vede Matilde (la madre di Calogero interpretata dalla splendida Anna Rita Vitolo) entrare sorretta ridicolmente dai due figli e dal genero e che piange teatralmente con lunghi gemiti senza sorprendere nessuno! 

Ossimorica è l’intera narrazione che ruota attorno al rapporto tra Calogero Di Spelta e Otto Marvuglia, due uomini che assumono due posizioni opposte di fronte alla vita: l’uno che si aggrappa alla fantasia dei propri sogni irrealizzabili per combattere la disillusione nei confronti della propria vita e l’altro che trascorre la maggior parte del gioco osservandolo e ridicolizzandolo con il suo “giuoco al raggiro”. Più che Pirandello in questo caso viene da pensare a Eugene O’Neill e a The Iceman Cometh, quando fa dire all’anarchico e cinico  Larry Slade nel I atto dell’opera «And I took a seat in the grandstand of philosophical detachment to fall asleep observing the cannibals do their death dance» («E mi sedetti sulla tribuna del distacco filosofico per addormentarmi osservando i cannibali eseguire la loro danza mortale»). 

 A chi gli chiedeva cosa aveva voluto dire con La Grande Magia, Eduardo rispondeva che aveva voluto significare che «la vita è un gioco, e questo gioco ha bisogno di essere sorretto dall’illusione, la quale a sua volta deve essere alimentata dalla fede…».

Se l’autore nel ‘48 ha voluto sottoscrivere una sorta di confessione dell’uomo moderno, facendo il punto della sua posizione etica e psicologica, questa risulta oggi oltremodo efficace. L’ uomo contemporaneo è avviluppato infatti in una visione del mondo in cui tutto è calcolabile, vittima dell’incantamento del capitalismo, che ci ha abituati pian piano al sortilegio della modernità banale con il risultato di allontanarsi irrimediabilmente  dalla complessità del reale. C’è forse bisogno di una idea di esistenza meno povera di questa che stiamo vivendo, che passi attraverso il re-incanto. I trucchi, sebbene dozzinali, dell’illusionista Marvuglia re-incantano, offrendo uno spettacolo a doppio fondo, complesso e leggero al contempo. 

La Grande magia lo scorso 2 novembre ha concluso la sua tappa a Napoli e inizia la sua lunga tournée che vede come prossima fermata il Piccolo Teatro di Milano dal 05 al 10 novembre. 

Crediti: 

La Grande Magia
di Eduardo De Filippo

regia Gabriele Russo

con
Natalino Balasso nel ruolo di Calogero Di Spelta
Michele Di Mauro nel ruolo di Otto Marvuglia 

 e con in o/a
Veronica D’Elia – Amelia Recchia
Gennaro Di Biase – Mariano D’Albino e Brigadiere di P.S.
Christian di Domenico – Arturo Recchia e Gregorio Di Spelta
Maria Laila Fernandez – Signora Marino e Rosa Di Spelta
Alessio Piazza – Gervasio e Oreste Intrugli (genero Di Spelta)
Sabrina Scuccimarra – Zaira (moglie di Marvuglia)
Manuel Severino – Cameriere dell’albergo Metropole e Gennaro Fucecchia

Alice Spisa – Marta Di Spelta e Roberto Magliano
Anna Rita Vitolo – Signora Zampa e Matilde (madre Di Spelta)

scene Roberto Crea
luci Pasquale Mari
costumi Giuseppe Avallone
musiche e progetto sonoro Antonio Della Ragione
foto Flavia Tartaglia

produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro BelliniTeatro Biondo PalermoEmilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale

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