Una ucraina a Parigi. Marie Bashkirtseff, pittrice e diarista tra manipolazione, leggenda e verità
di Annalisa ARUTA STAMPACCHIA
Marie Bashkirtseff è stata una pittrice della seconda metà dell’Ottocento, nata nel 1858 a Gavrontsi (Poltava) in Ucraina, allora Russia e morta Parigi nel 1884 a soli 25 anni. Le sue opere si trovano in importanti musei internazionali, a Parigi al Musée d’Orsay, a Nizza al Musée Cheret, al Museo statale russo di San Pietroburgo, in Germania, ma anche a Algeri, Amsterdam, Vienna, in America a Chicago. Poiché aveva l’abitudine di scrivere quasi quotidianamente ci ha lasciato le sue memorie, il Journal, un diario molto corposo di più di 19.000 pagine.
Mentre oggi è pressoché sconosciuta in Francia e ancor più in Italia, ben presto dopo la sua morte in così giovane età alla soglia dei ventisei anni, intorno a lei si era creata presto una sorta di leggenda.
Talentuosa, intelligentissima, molto bella e prodigiosamente dotata di temperamento artistico, iniziò fin dall’età di quattordici anni a scrivere quasi quotidianamente il diario che fu il suo confidente. Molto evoluta per l’epoca in cui visse rivela, in questi scritti, posizioni e atteggiamenti inconsueti e inaspettati, non solo per la giovane età, ma soprattutto perché donna in un’epoca in cui il destino femminile prevedeva solo il matrimonio e la famiglia.
Jean-Paul Mesnage, in un articolo a lei dedicato, sottolinea come attraverso la leggenda dolorosa propagandata dalla sua famiglia, soprattutto dalla madre Mme Bashkirtseff che pubblicò il Journal per prima poco dopo la morte della figlia, Marie appare soprattutto come un’eroina romantica, una fanciulla segnata dal destino commovente di una vita troppo breve di cui aveva lasciato memoria di sé attraverso l’arte, nelle sue opere e nei suoi scritti. Questa prima pubblicazione, anche se le procurò una folgorante fama postuma, non era altro però che un falso, frutto di una ignobile manipolazione, che non rendeva giustizia né alla sua singolare personalità di giovane donna, moderna nelle idee e di geniale originalità, né alla grande passione e al tormento che mise nella creazione artistica.
Infatti questa prima edizione del Journal, pubblicato per volontà della madre Mme Bashkirtseff in due volumi da Carpentier nel 1887, e nelle altre edizioni che ne seguirono in rapida successione, la breve, ma intensa vita di Marie Bashkirtseff diventa solo menzogna e manipolazione.
Fin dal sontuoso e teatrale funerale della figlia, la madre aveva espresso il desiderio di mostrare un’immagine sfumata, mitizzata di Marie come sfortunata vittima della terribile malattia che, a poco a poco, con grandi sofferenze, ne aveva divorato il giovane fisico, pur conservandone la prodigiosa energia e vitalità capace di alimentarne il genio creativo e artistico.
Da quel momento la leggenda di Marie Bashkirtseff prende forma e la sua grande tomba al cimitero di Passy, simile a un mausoleo brutto e pretenzioso, nel peggior gusto cimiteriale di fine Ottocento, contribuì ad aumentare la risonanza della leggenda che si stava creando intorno a lei.
La giovane ucraina, dotata di una voce incomparabile incantava chiunque l’ascoltasse fin da quando all’età di dodici anni sognava di diventare una cantante, ma per una laringite cronica, primo sintomo della tubercolosi, dovette rinunciare a questa sua aspirazione. Avendo anche già dimostrato grande talento nel disegno e nella pittura, nel 1877 dopo il trasferimento della famiglia da Nizza a Parigi, iniziò a frequentare l’Atelier Julian, la sola scuola parigina di pittura che dava accesso alle donne. In realtà a una donna dell’Ottocento era consentito prendere in mano pennelli e colori solo per diletto, non per professione. Era un modo per rendersi più interessanti agli occhi di ottimi partiti, la strada che la madre, Mme Bashkirtseff, sognava per sua figlia.
A partire da quando incomincia a dedicarsi all’arte, la febbre del successo la divora e si dedica mattina e sera, con volontà ferrea e una vita quasi monastica, allo studio della pittura trattenendosi, a volte a lavorare, anche dopo cena: aveva trovato la sua strada e voleva essere un’artista famosa.
La sua produzione fu ricchissima e oggi le sue opere, come ho già accennato, sono sparse in vari musei. Ne abbiamo un’indagine, se non completa, almeno il più possibile metodica, grazie al notevole lavoro svolto da una studiosa russa Tatiana Shvets che si occupa di riabilitare la verità umana di Marie Bahkirtseff e mantenerne viva la memoria di precoce artista.
Marie Bashkirseff pur essendo di casato nobile e facoltoso fu costretta, nel 1871, a trasferirsi a Nizza dalla nativa Russia. Infatti la sua famiglia, già mal vista a causa della separazione dei suoi genitori, venne travolta dai numerosi scandali provocati dal fratello della madre. Georges Babanine, causa principale di questo ostracismo, era un uomo rissoso, amante del vino, della droghe e delle donne, in genere prostitute, ebbe perciò spesso a che fare con la giustizia russa e fu imputato in vari processi. Questo bel ’tenebroso’, a suo modo affascinante, seduttivo, fu descritto nel Journal dalla nipote Marie come «vagabond» e «cochon». A Nizza esisteva una folta comunità russa che si incontrava al Cercle Massena, al Cercle de la Méditerranée o all’ambasciata russa, ma tutti questi luoghi esclusivi della «haute fashion cosmopolite» furono interdetti ai Bashkirtseff, accettati solo nelle manifestazioni a pagamento o al Casino.
Marie, personaggio molto complesso, sfaccettato e contraddittorio, fin dall’infanzia, mostrò un grande desiderio di sapere e di apprendere in un’epoca in cui l’istruzione femminile era molto superficiale. Amava la letteratura, la storia, la filosofia e le lingue straniere, che apprendeva facilmente, adorava la musica, si interessava anche al disegno, alla chimica e alla fisica, le piaceva svegliarsi presto per studiare o seguire corsi in queste materie.
Aveva anche passione, gusto sicuro per i bei vestiti e si compiaceva nell’essere ammirata. Tutti questi molteplici interessi sono annotati nel suo Journal, che iniziato l’11 gennaio 1873 all’età di soli quattordici anni, continuò a scrivere quasi quotidianamente fino al 20 ottobre 1884, pochi giorni prima della morte. Le sue memorie nella versione autentica e integrale occupano ben 16 volumi. Leggere un’opera così estesa richiede tempi lunghi di studio ai quali si aggiunge soprattutto la difficoltà di reperirla. Vi sono registrati i sentimenti, la vanità, gli slanci fantastici di un’adolescente alla scoperta del mondo e, allo tempo stesso, del suo corpo e dell’amore, tutto accompagnato spesso dalla certezza e vanità di essere bella. È un documento affascinante dove scopriamo il carattere, le idee, le riflessioni sul mondo, le ripetute ribellioni ai pregiudizi dell’epoca e quindi della famiglia, accanto a ambizioni, desideri e aspirazioni di una ragazzina, dove a volte appare perfino un ingenuo sentimento religioso, mescolato a preghiere a Dio e alla Vergine.
Nella storia della sua vita le descrizioni delle persone che incontra e di cui parla con arguzia, ironia , a volte con insolenza, sono un campionario significativo della società del tempo e, prese le debite proporzioni e distanze, il suo diario potrebbe ricordare l’Histoire de ma vie, il capolavoro di Giacomo Casanova. Infatti Marie Bashkirtseff amava come Casanova divertirsi e frequentava, già dall’adolescenza, ogni tipo di divertimento alla moda, le corse dei cavalli, il tiro al piccione, il teatro, le passeggiate in calesse, il Casinò… Aveva una vera passione per le belle toilettes che esibiva come segno di classe, trampolino di lancio per l’ascesa sociale a cui aspirava, in breve sentiva l’importanza delle apparenze. Tutti questi fattori possono giustificare il particolare accostamento con l’avventuriero veneziano. Casanova che aspirando a essere un aristocratico e non avendo un titolo nobiliare si era autoproclamato chevalier de Seingalt, ci narra tanti episodi in cui le mode e soprattutto la moda, l’abbigliamento servono a introdurlo a corte, a farlo apparire come un nobile. Ricordiamone l’episodio più importante ed emblematico, la sua fuga dai Piombi. Dalla prigione veneziana egli fugge grazie agli eleganti abiti, al bel cappello con la piuma, accuratamente conservato durante la prigionia: questo fastoso abbigliamento è il passaporto per guadagnarsi la libertà dopo la rocambolesca fuga dalla prigione.
Marie Bashkirtseff visse nella società segnata dal grande cambiamento che dal Secondo Impero alla guerra franco-prussiana, alla sconfitta di Sedan, approdò allo sconvolgimento sociale della rivolta della Comune e alla proclamazione della Terza Repubblica. Sebbene gli eventi storici apparentemente non sembrino influenzare in modo significativo la routine di questa giovane ragazza e della sua piccola «tribù» di stranieri di origine russa, le ripercussioni di questa trasformazione sono comunque presenti nella loro organizzazione quotidiana. Ad esempio è annotata da Marie nel Journal la decisione di trasferirsi a Ginevra al momento della dichiarazione della guerra franco-prussiana.
Il valore che Marie attribuisce al suo Journal è esplicitamente indicato spesso nelle sue pagine. Ad esempio, il 19 aprile 1876, a 18 anni. indica il pubblico quale destinatario della propria scrittura che tiene a sottolineare è fotografia autentica della sua vita. Una fotografia che rivela non solo una cultura superiore a quella delle altre ragazze dello stesso periodo, ma attesta soprattutto la ricerca del proprio destino, della sua realizzazione e aspirazione alla libertà in quanto donna, a dispetto di luoghi comuni e pregiudizi ancora molto persistenti in un’epoca dove però già si avvertiva qualche segnale di cambiamento. Vi troviamo infatti la sofferenza morale e fisica di un essere umano che si ribellava e, nonostante l’ambiente ostile e intollerante, cercava nell’arte l’affermazione, se non addirittura la gloria, una confidenza che affidava al suo Diario. Non è un caso se nel febbraio del 1876 scrive: «È con l’intima convinzione di non essere mai letta, e con l’ancor più profonda speranza del contrario, che scrivo il mio diario».
La pubblicazione, considerata definitiva fino ad oggi del testo integrale del Journal di Marie, comprende 16 volumi, circa 20.000 pagine, in cui c’è il racconto minuzioso e veritiero della sua vita, scritto sul filo dei giorni da lei vissuti che fu pubblicato soltanto molto tempo dopo la sua morte (tra il 1995 e il 2005) creando un complicato e tormentato caso di editing.
I 105 quaderni o cahiers, scritti e numerati da Marie, sono stati depositati dalla madre molti anni dopo la sua morte nel 1912, presso il dipartimento dei manoscritti della Bibliothèque Nationale de France, ad eccezione del quaderno n°1, il cui originale sembra essere andato perduto, e del quaderno 89, conservato nella Bibliothèque de Cessole a Nizza.
Il Journal pubblicato postumo la prima volta nel 1887 per iniziativa di Marie Stepanovna Babanine (1833-1920), la madre di Marie, era il deprecabile risultato , come già indicato, di numerosi tagli al testo originale e falsificazioni scandalose della verità e sincerità del manoscritto di cui addirittura alcune pagine sono state strappate o in cui leggiamo annotazioni, aggiunte dalla mano della madre che minimizza le critiche, anche aspre, della figlia a lei o ai familiari, giustificandole con le sofferenze della sua malattia. Lo scrittore André Theuriet, a cui fu affidato questo testo tradito, ridotto e manipolato, lo pubblicò a Parigi con grande successo, in due volumi, presso l’editore Fasquelle. Ne seguirono altre edizioni, sempre parziali e soprattutto assolutamente infedeli, continuando lo scandalo di offrire al pubblico un testo completamente lontano dalla verità.
Mme Marie Babanine, moglie separata di Constantin Bashkirtseff e madre di Marie volle snaturare nascondendola sotto una maschera odiosa, la personalità forte e singolare della figlia per esclusivi motivi personali legati alla ricerca della riabilitazione dell’onore della sua famiglia travolta dai tanti scandali e arrivare così all’accettazione in seno al jet-set della società nobile della sua epoca, unico valore che contava per lei e che non era riuscita a raggiungere, tanto più che sua figlia, a suo dire tanto adorata, non aveva mai voluto piegarsi alle imposizioni matrimoniali materne.
La vera svolta nella ricerche su Marie Bashkirtseff si è avuta con il testo di una specialista della storia delle donne Colette Cosnier, che pubblica nel 1985 Marie Bashkirtseff, Un portrait sans retouches, (Paris, Pierre Horay, ripubblicato a Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2022). La Cosnier consultando alla BnF il manoscritto del Journal (ottantaquattro cahiers) è stata una delle prime a percepire e osservare il disastro perpetrato dalle precedenti pubblicazioni. Il manoscritto le ha rivelato finalmente una personalità completamente diversa da quella della precedenti versioni edulcorate. Da qui il desiderio di scrivere una biografia autentica, «senza ritocchi», in cui finalmente si sentisse la voce di questa artista tradita nella sua verità, dando anche ampio spazio ad estratti autentici dal Diario, e corredando il volume con i testi o i disegni con cui Marie illustrava le sue osservazioni.
Nel 1986 un Centro fondato a suo nome, il Cercles des Amis de Marie Bashkirtseff, si è prefisso il compito principale di «pubblicare il Diario completo che Marie tenne dal 1873 fino alla sua morte nel 1884, composto dai 105 quaderni manoscritti che aveva lasciato». La trascrizione e successiva edizione finale completa del Journal a cui si è dedicata la segretaria del Cercle, Ginette, Apostolescu, sotto la direzione di Michel Fleury, comprende 16 volumi pubblicati tra il 1995 e il 2005.
Di questa edizione, molto difficile da reperire, siamo riuscite ad avere i primi due volumi (Vol I e II) che coprono, in circa seicento pagine, il breve arco temporale che va dall’11gennaio 1873 al 1 gennaio 1873 e l’ultimo, veramente molto toccante, (più di trecento pagine) il vol, XVI, che dall’8 agosto 1883 arriva al 20 ottobre 1884, una decina di giorni prima della morte prematura di Marie per tubercolosi: Marie muore il 31 ottobre 1884.
In effetti, sul totale dei volumi, abbiamo letto e studiato solo un quinto della sua produzione letteraria eppure è stato già sufficiente a capire il valore e lo spessore di questa giovane di acuta intelligenza e sorprendenti talenti . Soprattutto la scoperta della sua modernità come donna, del suo valore di pittrice e autrice ci ha appassionato al punto da voler cominciare a farla conoscere anche in Italia, nella sua sofferta verità, più forte delle manipolazioni e menzognere leggende sull’eroina romantica, vittima di un male crudele, create intorno a lei.
I rapporti con la madre
L’educazione, il linguaggio e il modo di esprimersi di Marie Babanine madre erano inevitabilmente imbevuti, anche se inconsapevolmente, dell’aura e della cultura profondamente antifemminista del suo tempo. Secondo i pregiudizi che aveva assorbito dal suo ambiente, l’unico destino delle donne era la famiglia e il loro compito la gestione della casa perciò sua figlia, bella, giovane poteva rompere l’immobilismo e la messa al bando che imprigionavano la famiglia Bashkirtseff, attraverso un ricco matrimonio con un uomo di alto rango sociale, titolato, preferibilmente un duca…
Marie che a modo suo aveva elaborato questi principi materni nella propria mente, aveva una visione completamente diversa della vita e nutriva sentimenti anche contraddittori nei confronti della madre. Pur ammirando la bellezza di Mme Bashkirtseff e compatendo la fragilità della sua salute, la giovane donna mostra una certa insofferenza verso le sue idee: «Mamma non ha abbastanza carattere per mettere qualcuno al posto suo […] Oh Dio, quanto devo soffrire per la debolezza, la gentilezza e la fiducia di mamma…».
Rimane un contrasto di fondo, permanente e irrisolto tra lei e la madre, basato sulla ricerca di autenticità, veridicità di sentimenti, necessità di esternare il proprio Io, che vuole liberarsi dalle regole. Facendo leva sull’irruenza dell’adolescenza, da un lato si comporta spesso come una bambina capricciosa, ma dall’altro, consapevole delle potenzialità della sua forte personalità, sa di essere destinata a entrare in un semi-conflitto permanente con la madre su cui scrive giudizi a volte spietati: «Povera mamma, vuole che io sia ciò che non sono di fronte al mondo. Reprime ogni mia parola, ogni gesto e finisce per farmi gridare pur essere ascoltata».
Questo dissidio che si riflette nella mancanza di rispetto della madre per la sensibilità della figlia, continua oltre la morte, in modo oltraggioso, nella pubblicazione mutilata e manipolata del manoscritto del suo Journal. Marie Babanine disprezza il desiderio di vivere a suo modo che emerge nelle pagine in cui la figlia si confida : «Sto cercando di scoprire ciò che ho nel cuore, ben nascosto, la verità finalmente, io, la mia anima». Di fronte a questo conflitto, sapendo di avere la meglio, Marie non esita a dire: «La mamma è troppo debole. Dovrei essere io la madre, lei la figlia». La personalità limitata di Mme Bashkirtseff, la sua incapacità di imporsi su chi frequenta e sulla figlia sono evidenti nelle strategie di manipolazione che adotta nei confronti di quest’ultima e culminano nell’assurda affermazione di volerla diversa. Marie si rifiuta però di diventare una sorta di burattino nelle mani della madre che non vuole altro che tiranneggiarla, imporle la sua volontà e, soprattutto, scegliere e decidere il suo destino di donna, prevedendo solo un ricco matrimonio con un aristocratico benestante, senza alcun rispetto per il suo carattere così determinato e indipendente, né per i suoi grandi talenti, desideri, ambizioni, gusti, inclinazioni. Mme Bashkirtseff ugualmente mostrò ben poca considerazione anche per le aspirazioni alla libertà che portarono la figlia, tanto giovane, a scegliere la difficile strada dell’Arte frequentando a Parigi l’Académie Julian, scuola di pittura per donne.
Questo periodo per Marie è il banco di prova per capire che essere un artista creativa significa devozione totale all’arte per cui è necessario avere la grande libertà a lei negata come donna, per di più non ancora sposata. Il matrimonio, tanto sognato dalla sua famiglia, infatti sarebbe il prezzo da pagare per avere qualche margine di libertà. Marie invece rifiuta i vari partiti proposti dalla madre o dai suoi parenti, si oppone a essere imprigionata nelle convenzioni sociali dell’epoca, non accetta di essere «accasata, incasellata, etichettata» («casée, placée, numérotée»): l’amore per lei deve essere condiviso, un sentimento magnifico e tenero per godere l’arte, la natura, la vita. Ormai è lontana dalle fantasticherie della sua prima adolescenza in cui aveva dato corpo all’immaginifica costruzione di sogno amoroso sul duca di Hamilton, «coureur de femmes», frequentatore delle corse e di altri divertimenti alla moda, poco più di un’ombra appena intravista su cui imbastire lo struggente innamoramento dei suoi quindici anni. Con la frequentazione dell’Académie Julian solo femminile, da un lato si rende conto, a poco a poco, non solo dell’emarginazione delle donne, genere svantaggiato anche in questo campo, ma anche di come l’Académie sia ormai un’istituzione «polverosa». D’altro canto contemporaneamente rafforza dentro di sé la tensione profonda verso la realizzazione dei suoi ideali artistici, per poter raggiungere quella gloria di cui già parla, ingenuamente, negli anni adolescenziali: è la Gloria cupiditas che usa anche come motto dei «carnets» negli anni parigini. Con questa consapevolezza si fa strada in lei anche la contestazione dei suoi maestri e il desiderio di conoscere Jules Bastien-Lepage(1), il pittore già famoso che ammira per la visione della natura.
Il rifiuto dei vari ‘partiti’, proposti dalla madre e dai parenti con cui viveva, significa per Marie il controllo su chiunque le dimostrasse interesse, attenzione, fino all’imbarazzante situazione di essere accompagnata perfino quando nasce un tenero e difficile sentimento per Jules Bastien- Lepage. Comincia a frequentarlo quando entrambi sono già malati, lei «poitrinaire» e lui affetto da un tumore allo stomaco: i loro incontri avvengono a casa di lui dove Marie cerca di portargli il conforto della sua amicizia insieme a piccoli e premurosi doni, ma ahimè, non sono mai da soli… Alla presenza della mamma di lui si aggiunge l’inevitabile accompagnamento familiare di Marie con mamma, zia, cugina… Insomma sempre, per lei, l’impossibilità di avere momenti di intimità e un po’ di vera, autentica tenerezza. Nel suo diario rimpiange di non essere a lungo sola con lui per potersi conoscere meglio, magari piangere insieme nella mescolanza di confusi sentimenti che avverte dentro di sé, tra la gelosia per la precedente amante di Jules, le sofferenze della reciproca malattia, l’attesa snervante del risultato per le medaglie che saranno conferite dal Salon de Peinture dove ha presentato la sua opera, A Meeting, a cui tiene molto. È proprio allora trasponendo questa tempesta emotiva in modo teatrale asserisce che vorrebbe trasferire il coacervo di sentimenti che avverte fortemente in lei su una scena dove « divertirsi come spettatore mentre da attore rappresenta sé-stesso e si intenerisce dei suoi propri sentimenti». Di fronte all’‘impasse’ in cui si trova, immagina di interpretare teatralmente i suoi sentimenti, trasponendo questo groviglio di esperienze opposte su un palcoscenico immaginario. Emblematica questa idea di rifugiarsi nella finzione teatrale, dove si sdoppia come spettatore-attore della sua vita. Dove vuole essere sia una spettatrice che sa di assistere a una finzione, ma che tuttavia ne è conquistata, sia un’attrice che si identifica con la finzione e tuttavia la vive come realtà, affinché infine, in questo gioco di specchi dove realtà e finzione si confondono, possa sperare di trovare la propria realizzazione di donna e artista, libera e liberata per sempre dal tormento della pressione ossessiva, dominante della madre.
Il Journal
Marie Bashkirtseff scrivendo il suo Journal si è spesso interrogata sulla sua ricezione ed edizione di esso e ha lasciato riflessioni sparse, ma pertinenti e precise al riguardo.
La Préface incompleta ai suoi scritti, aggiunta nel maggio 1884 qualche mese prima della sua morte, si può considerare piuttosto come una Postface. La diarista tiene a ribadire come la prefazione colmi una lacuna del Journal che permetterà di comprendere «questo monumento letterario ed umano» […]insieme all’intenzione di lasciare traccia di sé in qualche modo e, nel caso di morte prematura, il desiderio che esso venga pubblicato. Sono pagine in cui rivolgendosi ai «suoi caritatevoli lettori» mostra tutta sé stessa, con sincerità e buona fede, è un essere umano che racconta le sue impressioni fin dall’infanzia, senza nulla dissimulare.
Il 9 febbraio 1873 Marie confessa nel diario quale « grande e delizioso piacere» provi scrivendo della sua vita e in quest’idea ricorda ancora Giacomo Casanova che, nella Préface a l’Histoire de ma Vie, ci rivela la gioia ritrovata nel narrare gli episodi della sua vita.
Il «vous» immaginario, spesso utilizzato nel corso del Journal da Marie, ci suggerisce che la sua scrittura è rivolta a un pubblico e ne conferma la destinazione alla pubblicazione. Il colloquio istaurato coi lettori nella narrazione quasi quotidiana delle sue giornate, fa si che la sua opera possa essere collocata nel flusso del diario intimo. Philippe Lejeune, specialista di questo genere letterario, ha studiato e approfondito la tematica autobiografica indicando in particolare il concetto di «patto autobiografico» tra lo scrittore e il lettore come fondamento del diario intimo. La nostra diarista sottolinea in modo inequivocabile questo patto in un passo del 19 aprile 1876:
Qualunque cosa mi succeda, lascio il mio diario in eredità al pubblico. Tutti i libri che leggiamo sono invenzioni, le situazioni sono forzate, i personaggi sono falsi, mentre questa è la fotografia di una vita intera. Ah! direte voi, ma questa fotografia è noiosa, mentre le invenzioni sono divertenti! Se dite così, voi non avete che una scarsa considerazione della vostra intelligenza. Vi sto regalando ora qualcosa che non si è mai visto prima.
La sicurezza, ma anche la buona dose di presunzione e perfino di arroganza che Marie manifesta in queste sue asserzioni, possono essere giustificate in parte dalla giovane età, diciotto anni al momento che scrive, e attribuite anche al carattere alquanto capriccioso. Man mano che procediamo però nella lettura di quella che chiama l’«istantanea» della sua breve, ma intensa vita, ci rendiamo conto di come la sua voce sia autentica nella sfida incessante a cercare una libertà spesso rifiutata, ad aspirare a una verità invocata invano, nella lotta straordinaria per il suo tempo ad essere donna e pittrice secondo i suoi desideri.
Ed è penoso scoprire che è stata proprio la madre a commettere il peggiore dei tradimenti, cercando di soffocare la sete di libertà della figlia, offendendo e attaccandone la personalità mentre era ancora in vita e a continuare l’oltraggio manipolando, in modo irrispettoso e aggressivo, i suoi scritti dopo la morte, per non parlare della costruzione odiosa di un culto intorno alla sua tomba, unicamente per i propri interessi familiari personali, sociali, ed economici.
Nell’ultimo volume del Diario, il sedicesimo nella nostra edizione di riferimento, Marie propone ai lettori – e l’uso della parola «voi» ancora una volta lo testimonia – quello che non esiteremmo a definire il suo atteggiamento e il suo metodo di approccio e descrizione della realtà, sia nella scrittura che nella pittura:
Volete sapere la verità? Beh, non sono una pittrice, una scultrice, una musicista, una moglie, una figlia o un’amica. Tutto ciò che mi concerne si riconduce a soggetti da osservare, riflettere e analizzare. Uno sguardo, un volto, un suono, una gioia, un dolore vengono immediatamente soppesati, esaminati, controllati, classificati e annotati. E quando ho raccontato o scritto, sono contenta. Se sapessi scrivere, sarei certamente un grande scrittore, perché senza che io ne abbia consapevolezza, istintivamente, involontariamente, fatalmente, tutto mi ritorna alla mente. Tutto si riduce a trovare la parola giusta. E solo allora sono felice.
Il linguaggio in cui Marie si esprime è ricco di sfumature e segue riti personali di costruzione. L’autrice in una specie di circolarità discorsiva del pensiero, preferendo la varietà lessicale, ama spesso affiancare in successione sostantivi, aggettivi, sinonimi talvolta, e anche i verbi, utilizzati nei loro diversi aspetti, contribuiscono a creare un sistema di scrittura efficace che dà ritmo alla stesura del racconto.
Marie ama introdurre dei dialoghi nei resoconti delle sue giornate e, seguendo in modo abile la tecnica dialogica della domanda-risposta, si ispira alla conversazione:
Sebbene l’autrice affermi «non so mai cosa sto per scrivere» la prosa del Diario non ha mai un andamento di scrittura noioso.
Il suo stile brillante e ricco di immagini rivela senso del movimento e addirittura la diarista si lancia, talvolta in descrizioni che richiamando le sequenze di un film, alternano primi piani, interruzioni improvvise e campi lunghi. Un esempio è la narrazione della fuga dello zio Georges, la pecora nera della famiglia, mentre la polizia lo scova per arrestarlo dopo l’aggressione a una donna.
Per concludere questo excursus, che ha tenuto conto della ricchezza e della varietà di approcci e registri utilizzati da Marie Bashkirtsef, torniamo alle parole che essa stessa ha scelto per indicare il suo metodo di lavoro: «Tutto si riduce a trovare la parola giusta. Solo allora sono felice».
Fin dai primi anni in cui ha iniziato a tenere il suo diario, Marie Bashkirtsef si è concentrata sulla «giustezza» del linguaggio, prestando la stessa attenzione alle parole come alle pennellate, al colore, alla luce e alla rappresentazione della natura, ai personaggi dipinti o descritti. È così che spesso ama descrivere i tipi umani che incrocia in società, creando ritratti autentici tra satira e ironia.
1) Jules Bastien-Lepage (1848, Damvilliers, 1884, Paris), pittore di modeste origini contadine che si impose sulla scena artistca francese del suo tempo infatti le sue opere sono presenti nei più grandi musei internazionali. Il suo stile seppe creare opere originali dove si fonde lo stile realistico dei suoi predecessori con la nuova maniera di dipingere dei suoi contemporanei. Soggetti preferiti di Bastien Lepage furono ritratti di artisti contemporanei come Sarah Bernhardt o di personaggi della scena pubblica come Léon Gambetta. Dopo aver viaggiato in Inghilterra e in Svizzera le sue preferenze andarono a soggetti rurali o urbani rappresentanti bambini e adolescenti ( Colporteur moderne, 1882, Tournai, Musée des Arts décoratifs; Le Petit cireur de bottes à Londres, 1882, Paris, Musée des Arts décoratifs). Quest’ultimo aspetto piacque particolarmente a Marie Bashkirtseff, a sua volta interessata a ritrarre bambini e scugnizzi di cui ricordiamo: Jean et Jacques (1883, Newberry Library) e il suo quadro più famoso A meeting ( Paris, 1884, Musée d’Orsay).