Guida Galattica per i Lettori | Marzo 2023

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AMICO ROMANZO

RITORNARE A BRACCO PER CAPIRE IL PRESENTE

di Antonio GRIECO

Roberto Bracco
Smorfie gaie e smorfie tristi. Con il saggio introduttivo «L’importanza di essere Roberto» di
Marco Catucci
Robin Edizioni, 2022
Ritornare a Bracco per capire il presente

All’inizio dello scorso secolo, Roberto Bracco (Napoli, 1861 – Sorrento, 1943) pubblica Smorfie gaie e smorfie tristi (Editrice Sendron, 1909), una raccolta di novelle che accrebbe ulteriormente la fama del drammaturgo italiano più rappresentato all’estero. Ora, la meritoria ristampa di quest’opera (Robin Edizioni-Biblioteca del Vascello, con il saggio introduttivo L’importanza di essere Roberto di Marco Catucci, pagine 360, 2022), che riprende la riedizione revisionata da Bracco stesso tra il 1922 e 1923, costituisce una imprendibile occasione per riscoprire un grande, poliedrico maestro del Novecento – oltre che commediografo egli è stato anche critico, poeta, novelliere, apprezzato autore di canzoni napoletane – insieme al suo esemplare impegno politico (fu eletto deputato nel 1924 nelle liste di Giovanni Amendola) sul fronte antifascista che gli permise di scorgere per tempo la pericolosità di un regime che avrebbe portato il Paese alla rovina. Nel suo interessante saggio introduttivo al volume, Catucci parte proprio da questo snodo cruciale della storia italiana, ricordando le parole di netta condanna del Fascismo («una grave minaccia alla libertà del pensiero e della morale») che Bracco scrisse nel 1922 sulla copia di un libro che il suo amico Pasquale Parisi gli aveva dedicato. La breve nota autobiografica ci consente indirettamente di scorgere un aspetto della sua personalità che sembra distinguerlo da molti altri intellettuali del suo tempo: la convinzione cioè che arte e vita abbiano un comune destino, e che dunque ad ogni gesto di libertà nell’arte debba corrispondere a un gesto di libertà nella vita. Rifiutando così l’idea che l’artista, prigioniero del suo smisurato Ego e chiuso nella sua confortevole torre d’avorio, possa tranquillamente chiudere gli occhi di fronte a ciò che accade intorno a lui. Da qui lo scandalo, la persecuzione, la violenza fascista che fece irruzione nella sua casa-studio devastandola e distruggendo La verità, il suo ultimo lavoro; impedendo infine che a Roma, nel 1929, andasse in scena I pazzi, un dramma di straordinaria forza poetica. Naturalmente nessuno tra i suoi compagni di viaggio, salvo rarissime eccezioni, mosse allora un dito per rompere l’isolamento politico e artistico cui egli fu sottoposto dal regime. Furono però alcuni giovani scrittori come Anna Maria Ortese a comprendere tutto il valore della sua arte pregandolo di non lasciarsi andare, di resistere con le sue opere e la poesia del suo sguardo; mentre, più recentemente, siamo stati  favorevolmente sorpresi dall’attenzione al pensiero bracchiano della scrittrice Elena Ferrante che in Storia di una bambina perduta – ultima parte del suo romanzo L’amica geniale – a un certo punto racconta che la giovane Lenù deve recarsi alla Biblioteca nazionale di Napoli per cercare un volume di Roberto Bracco che si intitolava Nel mondo della donna; una riflessione sulla condizione femminile che anticipa di oltre un secolo il pensiero femminista più contemporaneo e radicale. Nel saggio introduttivo al volume, Catucci riprende i tratti fondamentali della sua biografia ricordando i suoi primi passi nel mondo letterario, quando con lo pseudonimo Baby collabora con diverse testate giornalistiche; a indirizzarlo verso il teatro, dopo la pubblicazione de Lo Spiritismo di Baby, «una garbata presa in giro della mania spiritistica che ha contagiato Napoli», fu Ermete Novelli. Non fare agli altri, andato in scena nel 1886 al Teatro Sannazaro di Napoli, è il suo primo lavoro; seguirono, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del nuovo secolo, i suoi drammi più noti (ripubblicati, a cura di Mario Prisco, a partire dal 2012 da Editoria &Spettacolo)  – tra cui,  Don Pietro Caruso (1895), La piccola fonte (1905), Sperduti nel buio( 1901),  Il piccolo santo (1912) -che  avvicinarono la sua poetica, soprattutto per l’attenzione all’universo femminile – al teatro di Ibsen; anche se, in tutta evidenza, appare assolutamente fuorviante considerarlo un suo semplice imitatore, perché, come giustamente osservò anche Antonio Stäuble (Il teatro di Roberto Bracco, Torino, Ilte, 1959), tra i suoi maggiori esegeti, diversamente dal drammaturgo norvegese, i suoi personaggi “sono ricchi di umanità, noi li sentiamo vivere e morire accanto a noi, non sono estranei alla vita“. Questa pulsione di vita, del resto, sembra uno degli elementi costitutivi delle novelle raccolte in Smorfie gaie e smorfie tristi, che fanno appunto pensare a cellule narrative che abitano un organismo vivo, metamorfico, che ci svela un mondo – quello borghese scaturito dalla rivoluzione industriale – che si regge sull’ipocrisia, sul vuoto ideale, sulla diffusa infedeltà coniugale, su di un becero maschilismo che della donna ha solo un’idea ossessiva e possessiva. Esilaranti, questi brevi racconti – come Il successore o Telefono Napoli Roma -cimostrano, con sottile ironia e con un intenso scavo psicologico, tutta la fragilità morale su cui sono costruiti i legami affettivi dell’alta aristocrazia italiana in un difficile passaggio d’epoca. Tuttavia, anche qui, in questa «sorta di Decameron senza cornice, che, come scrive Catucci, ha come sfondo Napoli, e come protagonisti personaggi di ogni ceto sociale», sembra affiorare quel sentimento di vicinanza ai più deboli che attraversa tutta la drammaturgia bracchiana: ne è un esempio La piccola ladra – una novella che sembra quasi annunciare l’intensità visionaria di Sperduti nel buio –  dove la monella rivela al marchese Oderisi di essere sua figlia e poi scappa via senza chiedere nulla in cambio lasciando il nobile interdetto a riflettere sul suo triste passato. In questa singolare indagine su un mondo affetto da un patologico narcisismo, ci sono poi momenti in cui lo sguardo dello scrittore – come ne La lotta, che ha per sfondo il terremoto di Casamicciola – sembra già presagire quella perdita di senso dell’umano che di lì a qualche anno porterà dovunque solo distruzione e morte; la novella narra di due giovani amanti che trascorrono il fine settimana in un hotel ischitano nella più assoluta spensieratezza, osservando dal terrazzo dell’albergo con diffidenza un povero vecchio che sembra aspettare solo la fine dei suoi giorni. Quando, dopo qualche minuto, giungerà la devastante scossa tellurica, il vecchio e la giovane sprofonderanno entrambi nel sottosuolo trovandosi a condividere tra le macerie la stessa terribile sorte. Ma la vera tragedia giunge all’arrivo dei soccorritori, perché tra i due sventurati, nel buio, da quel momento comincia una selvaggia lotta per affermare la priorità a salvarsi. E sarà il vecchio coperto di cenci a vincere la sfida lasciando soccombere senza pietà la giovane donna. Sembra insomma che attraverso questa tragica deriva umana, Bracco intenda alludere a qualcosa di più profondo che riguarda noi stessi, forse la mancanza di un nostro autentico sentimento di vicinanza all’ Altro da noi, a tutti coloro che, come la donna oltraggiata nel sottosuolo, non hanno mai avuto voce nella Storia. Smorfie si conclude con il sorriso: la novella de La principessa, incentrata sulla verosimiglianza tra due splendide donne: una cocottina, Alfonsina Battagli, e la principessa Irena Sallustio, «una dama inattaccabile»; una storia che sarà trasportata a teatro nel 1916 da Washington Borg, amico di Bracco, e poi trasferita in un film (purtroppo disperso) dal regista e attore Camillo De Riso. Ritorna qui il solito, pungente umorismo dello scrittore napoletano. I numerosi ammiratori della bella consorte del Principe non potendo essere accolti tra le sue braccia, ricorreranno ad Alfonsina, che darà loro l’illusione di aver vissuto con lei la stessa, indimenticabile esperienza erotica; diventata di pubblico dominio, la vicenda suscita l’ira e la gelosia del Principe, che per uscire da una situazione così imbarazzante propone ad Alfonsina un vantaggioso accordo economico che le consentirà di abbandonare il mestiere, diventandone al tempo stesso la sua unica amante. Ma l’incredibile intrigo amoroso non finisce qui. Perché la bella Irene, accortasi del tradimento di suo marito, accetterà il corteggiamento assillante di un suo giovane ammiratore, sino ad allora rifiutato. Rileggiamo le ultime righe di Smorfie proprio quando alla guerra della pandemia si è aggiunta quella ancora più orrenda e sanguinosa dovuta all’invasione russa della Ucraina. E allora di fronte all’incubo di questa nuova, moderna barbarie non può non tornare in mente l’urlo di Mignon Floris, l’eroina de L’internazionale (1915) – dramma messo in scena a Napoli dal regista Giovanni Meola nel 2014 – contro la guerra mentre si dispera per la drammatica sorte dei tanti giovani mandati ad uccidersi al fronte senza ragione. Oggi, Bracco è incomprensibilmente poco rappresentato dal nostro teatro, anche se non mancano rigorose sperimentazioni sulla sua drammaturgia, come quella del gruppo “La Carrozza d’oro” di Scisciano. Ecco, noi pensiamo che questa splendida e opportuna ristampa delle sue novelle, possa non solo stimolarne una più attenta lettura, ma anche risvegliare l’interesse intorno a un grandissimo scrittore e drammaturgo europeo che non ha mai smesso di parlarci di un universale cammino di libertà e di pace.

Antonio Grieco



SIPARI APERTI

LA TEMPESTA

di Girolamo

William Shakespeare, traduzione Alessandro Serra,
Luca Sossella Editore, 2022
La Tempesta

La Tempesta di Shakespeare nella traduzione e adattamento di Alessandro Serra è un vero spettacolo, che gioca le sue carte, divertendosi e forse anche vincendo. Ma non è questo il punto, come per ogni magia, che si compie nel suo proprio gesto (una gestazione che non si lascia bloccare nel tempo) per poi svanire, come i sogni, come la materia di cui noi siamo fatti. Come le parole che pure io scrivo. La lingua di Shakespeare è bellissima; le parole – sempre giuste – sono composte e articolate in una trama ostensiva limpida che si adegua al suo oggetto, creandolo nello stesso tempo, essendo una lingua drammaturgica. In questa opera, forse più che in altre, in modo testamentario (e noi riceviamo, sempre stupiti) questa eredità, sempre nuova), indaga sul potere della parola drammaturgica, insistendovi. Voci, corpi, costumi, spazio, danze e luci, silenzi e movimenti: tutto serve per mettere in scena una fabula che ci ammalia, ci fa ridere, ci fa pensare, ci interroga, in una trama che si dispiega magistralmente tra accelerazioni e rallentamenti. Coaudiuvato da attori all’altezza, Serra scava nel testo, con un intuito rabdomantico per i filoni essenziali: il flusso drammaturgico, narrativo e poetico non si disperde in rivoli (già tanta, troppa è la materia in questione) ma – come in un quadro di Klee – una giusta astrazione concentra sull’essenziale, concreta l’essenziale. Così – a mio avviso – si spiega il palco vuoto di assi, legno non muto, materia da cui (più che su cui) prende forma la sostanza dell’opera. Così la tempesta iniziale è solo voci e rumori, messa in scena (realizzata non suggerita) da una danzante Ariel, lei, piccina, a smuovere il gran telo del Mediterraneo. Ma è tutto un sogno; tutto avviene e tutto è finzione, in cui ognuno (chi ignaro, chi consapevole) ha la sua parte. Così è il teatro, un mondo a parte (un’isola) in cui i destini vengono portati a verità, giocando (to play) la propria parte, scoprendola d’incanto, lasciandola emergere, lasciandosi sorprendere da essa. Tutto sembra andare male e tutto si ricompone. Mirabile la commistione di generi e stili che ha nei dettagli la sua concretazione più riuscita. Ad esempio i costumi che sono da nobili quando devono essere di nobili, ma si fanno all’occorrenza grotteschi, ora tribali, ora comici, valorizzati ancor più dalle danze, come quella solitaria, da rito animistico, di Calibano, quella rabelaisiana e goliardica di Trinculo e Stefano, quella tribale della cena, quella classica ma surreale del matrimonio. Tutte fantasie, come – a mio avviso – la bellissima danza sognante di Ariel con lo stand svolazzante, un gioco fantastico con possibili vesti e parti da scegliere; non conta quali poi si dovranno indossare, ma il fatto solo di sognarne la possibilità, di vivere di questa immaginazione, che – ancora una volta – è reale e fittizia insieme. Uno spazio aperto, un desiderio che si lascia conchiudere. Non credo sia un caso che, subito dopo, (se non ricordo male) i tre ubriaconi messi a nudo scelgono da lì dei costumi ridicoli (letteralmente) ma perfetti per l’occasione. A proposito di Ariel, commovente la danza liberatoria finale, una cantilena che si fa luce stupita e rapita. Qui tutto può finire e ritornare al buio, quella materia informe, iniziale e finale, da cui fuoriesce lo spettacolo. Tra le tante magie e incanti, anche quello della lingua (indossata come un costume): quella consapevole, sofferta e paziente di Prospero; quella selvaggia di Calibano (ma non è vero che ha imparato una nuova lingua solo per maledire: certo, non mancano gli improperi e le sconcezze ma ha saputo carpire pure parole e significati raffinati, in un miscuglio che non è caotico come si vorrebbe – la voce dell’altro); quella quasi ornitologica della volatile Ariel che più di una volta si arruffa in battibecchi onomatopeici, come una glossolalia svampita o stizzita; quella stupita di Miranda. Lo stupore (che sarebbe poi l’inizio del filosofare) affiora ovunque, come capita ai bambini di fronte a uno spettacolo di magia o di marionette. Stupore che una possibilità ancora sia data, stupore di ritrovarsi con i vestiti come nuovi dopo un naufragio in acque salate, stupore di ritrovarsi finalmente di nuovo liberi, stupore di essere perdonati e perdonare, stupore che ci siano uomini e siano così belli. Stupore che è anche compassione.

Esco dal Bellini e mi ritrovo a Napoli. Guarda caso, ieri ero a Milano (per una mostra su un altro fantastico visionario, Bosch). Il mare, un kilometro più in là, è mosso ed agitato. Più a Sud si consumano altri naufragi, guardati spesso con occhio ben diverso da quelli della piccola Miranda. Ma dalla tempesta possiamo pure uscire migliori. A teatro il potere della magia vince sul potere della politica e delle ambizioni. Possiamo, però, scegliere quale potere studiare, quale biblioteca fare nostra. Senza studio Prospero non avrebbe potuto compiere nessuna delle sue magie. Le parole giuste non capitano mai a caso. Come le linee e i colori di un quadro di Klee. O come le bizzarre figure dei quadri di Bosch.



COME SUGHERI SULL’ACQUA

LA VERITÀ DEL DOPPIO

di Ariele D’AMBROSIO

Anne Carson
Era una nuvola
Crocetti Editore
2021, Cles (TN)
Pagine 108
euro 13,00
La verità del doppio

a mia madre

Comincio sempre dalla copertina. La vista e il tatto. Sotto le dita rugosa e comoda. Un cerchio chiaro che contiene il nome dell’autrice e il titolo del libro. Un’eclisse all’inverso, una luna chiara che si sovrappone a un sole scuro e che lascia al margine un bordo grigio per segnare la grande ‘C’ di Carson. Una importante poeta del duemila, canadese e che si guadagna da vivere insegnando il greco antico, come ci dice il risvolto di destra. Ma è molto di più se solo si va a cercare informazioni, agevolandosi, anche superficializzandosi,  su wikipedia, enciclopedia online dal titolo che unisce il termine hawaiano wiki-veloce e quello dal greco antico (qui il ponte e la cucitura) παιδεία-formazione, per una veloce informazione. https://it.wikipedia.org/wiki/Anne_Carson

Credevo di avere tra le mani un libro di poesia, di poesie, e mi ritrovo molto, molto di più, assai di più. Un testo che spazia tra la poesia per l’appunto, la denuncia civica e sociale, il copione teatrale, la cucitura tra l’antico e il moderno. Estrapolerò qua e là, dal risvolto di copertina sinistra e dall’ottima introduzione di Patrizio Ceccagnoli, curatore e traduttore del testo, nonché di una buona intervista all’autrice alla fine del libro. 

È un’opera teatrale in versi liberi come viene definita, ed il libro ha il testo a fronte in inglese. Per questo mi soffermo con una piccola chiosa sull’abusata e retorica domanda se la traduzione tradisce. Tradisce solo se non coglie il senso, l’emozione profonda ed anche il mistero della sua matrice.  Ed il testo italiano, in questo libro, è sano in questo senso. È per questo motivo, però, che preferisco sempre parlare di trascrizione e non di traduzione. Le lingue sono come strumenti musicali diversi ed una traduzione dall’inglese all’italiano è come trascrivere una partitura dal pianoforte al violino, tanto per fare un esempio, e questo non tradisce ma trasmuta perdendo ed acquistando colori e sfumature diversi, timbri e tessiture, ritmi e cadenze diversi, senza per questo cambiare note e melodie.

È un’opera teatrale in versi liberi dicevo, e i versi sono tali perché all’interno di essi c’è il mentale del poeta che si fa teatro, anche nella costruzione della storia. Ed allora mi chiedo: parlerò di un testo di poesia o di un copione teatrale? Ma è poi così distante la poesia dal teatro? Non cerca la poesia la voce, il canto, il suono, la musica, e chi l’ascolta?

Era una nuvola è il titolo scelto dalla stessa autrice appositamente per la versione italiana di Norma Jeane Baker of Troy, un testo teatrale in lingua poetica uscito nel 2019 presso la storica casa newyorkese New Directions e già tradotto anche in francese. Si tratta di un’opera inclassificabile, alla maniera della scrittrice da sempre incline alla sperimentazione linguistica e alla commistione di generi e tradizioni diverse. Era una nuvola appartiene a un genere ibrido ribattezzato da Anne Carson “melologo” (da melos e logos), trattandosi di una pièce, tendente al monologo, composta per musica e parola e originariamente concepita per l’interpretazione dell’attore britannico  Ben Whishaw, nel ruolo di Norma Jeane Baker.” E Norma Jeane Baker è il vero nome di Marilyn Monroe. “La versione alternativa del mito greco, riproposta anche da Euripide, ha liberamente ispirato Era una nuvola, … Intrecciando la storia e il destino di Elena e Marilyn, due emblemi del fascino femminile, Era una nuvola è una riflessione antimilitaristica sulla guerra, un atto d’accusa sulla condizione della donna, una meditazione sulle conseguenze del desiderio e della bellezza, sul rapporto tra verità e menzogna, sul tema del conflitto, pubblico e privato, declinato in chiave bellica e nel contempo sentimentale.”.

Prima di trascrivere parti di scrittura viva, devo dire che ho cercato, sperando di trovare qualcosa della messa in opera su YouTube, ma con esito fallimentare. Le indicazioni di regia sono come titoli ai melologhi-monologhi. 

Era una nuvola – una versione dell’Elena di Euripide; Ambientazione – Troia e Los Angeles; Cast – Norma Jeane Baker. I nomi presenti sono: Troia, Los Angeles, Sparta, New York, Stevie Smith, Persefone, Yves Montand, dottor Formaggio, Chateau Marmont, Talebano, Pearl Bailey, Elena, Paride, Menelao, Norma Jeane Baker-Marilyn Monroe, Arthur – verosimilmente Miller, matrimoniato con Marilyn dal ’56 al ’61 –, Fritz Lang, Truman Capote – pensato come coro –, Metro-Goldwyn-Mayer, Ermione. Qualcuno mi sarà sfuggito trascritti non in ordine di apparizione. 

Le successioni invece sono: Entra NORMA JEANE BAKER. … Prologo. ; εἴδωλον “immagine, somiglianza, simulacro, replica, vicario, idolo” Storia Militare: Lezione N.1; NORMA JEANE continua a lavorare a maglia. Primo Episodio. ; τραῦμα “ferita” Storia Militare: Lezione N.2; Entra NORMA JEANE. … Primo Canto Corale. ; ἁρπάζειν “prendere” Storia Militare: Lezione N.3; Entra NORMA JEANE. … Secondo Episodio. ; Entra NORMA JEANE. … Terzo Episodio. ; δουλεία “schiavitù” Storia Militare: Lezione N.4; NORMA JEANE riprende a lavorare a maglia. … ; παλλακή “concubina” Storia Militare: Lezione N.5; Entra NORMA JEANE al telefono del vento, mano all’orecchio. …; Entra NORMA JEANE nelle vesti di Mr. Truman Capote. Seconda Ode Corale.; ἀπάτη “inganno illusione imbroglio duplicità doppiezza frode bluff adescamento abbindolamento espediente beffa artificio raggiro sotterfugio trovata truffa trucco stratagemma bidone furberia astuzia astuzie Le astuzie delle donne” Storia Militare: Lezione N.6; Entra NORMA JEANE. … Quarto Episodio; βάρβαρος “barbaro, l’Altro” Storia Militare: Lezione N.7; Quinto episodio.; καιρός “opportunità” Storia Militare: Lezione N.8; NORMA JEANE nelle vesti di Truman Capote.; τις, τίς “qualcuno, ciascuno, una persona, una certa persona, chi?”Storia Militare: Lezione N.9; NORMA JEANE nelle vesti di NORMA JEANE..

Ho cercato con questi titoli dei tempi in successione, di indicare subito un percorso al lettore, e non nascondo, mentre leggevo questo testo, di ricordare altro teatro, specie quello del nostro Enzo Moscato, e ancor più con Ceccagnoli che nell’intervista alla Carson così le dice: “Nel volume con la sua traduzione delle Baccanti, riconosce che Euripide “ha reinventato la tragedia greca, impostandola su un percorso che porta direttamente ai reality televisivi” ”. E che combinazione aver avuto l’occasione di ascoltare e leggere un ottimo intervento della regista e autrice Laura Sicignano su un testo inedito del duemilacinque intitolato Disturbing ‘a tragedy, copione di scena delle Baccanti di Moscato. In questi brevi stralci che riassumo, a mio avviso, punti di contatto con la Carson: l’intento di “disturbare la tragedia” partendo dal titolo in inglese, lingua della globalizzazione; la parola “schizo” per indicare la patologia mentale,  dal greco σχιστός col suo etimo σχίζω, che vuol dire scisso, smembrato, separato; la funzione metatestuale di qualche personaggio; l’ibridazione di diverse tradizioni; la magnifica parola “tradinvenzione” coniata da Moscato, e che bene riassume in una sintesi perfetta l’idea di una creatività che non può prescindere dal tradimento di quello che c’era prima ma per questo anche con l’impossibilità di dimenticarlo; personaggi derivati dal mondo più trash della televisione; una colonna sonora detta pop.

Insomma, questo teatro fatto da teste di poeta, con strutture che continuamente creano ponti, nodi e snodi e mai fossati o muri, che collegano il tempo e i tempi, che dissacrano i miti e li rigenerano, mi ha fatto certo di un modello di teatro non disgiunto dalla poesia e che non solo va visto, ma va letto per poi essere nuovamente rivisto.

Un piccolo particolare per una pausa strana: il numero delle pagine dispari sono stampate verso il dorso del libro. Chiederlo all’editore, allo stampatore o immaginare qualcos’altro per numeri che non vogliono esser visti, nascosti per farsi mistero? 

È incredibile come questo libro rimanga profetico della guerra Russia-Ucraina ora in atto, tra le tante guerre rese croniche per il martirio di molti e l’arricchimento dei pochi, come sempre è stato nella storia. È incredibile la capacità della Carson non di sostituire, non di alternare, ma di raddoppiare. La verità del doppio è la condizione femminile di Elena e di Marilyn del nostro tempo, usate ed abusate da una società organizzata da maschi per il potere dei maschi sulle donne; la verità del doppio è all’interno del privato tra Menelao e Paride di allora, e l’Arthur del nostro tempo, la verità del doppio è la guerra di Troia che colpevolizza la donna fino ad attribuirle il suo nome come sinonimo di donna che vende il suo corpo, la verità del doppio è il mercato d’allora e la Metro-Goldwyn-Mayer del nostro tempo fatti dello stesso cinismo ad uso dell’altro. Ed è del pubblico e del privato che s’intersecano, che si contagiano senza più distinzione dei tempi e delle storie. Qui, a mio avviso, la grandezza e la forza di Era una nuvola, perché la Elena di Euripide e della Carson non è mai stata l’amante di Paride né l’adultera che si è rifugiata a Troia, ma – nella sua forma “stesicorea-palinodica”, come bene ci dice Ceccagnoli, documentata nel Fedro e nella Repubblica di Platone , opponendosi all’altra linea di tradizione omerica-dantesca – “portata in Egitto da Ermes per volontà di Era, rimane fedele al marito, lo attende lungamente dopo la fine della guerra troiana ed è intanto vittima di vituperio e d’odio per responsabilità non realmente sue, perché una nuvola con le sue fattezze, un sosia un doppio che dir si voglia, ne ha preso il posto a Ilio.” Una seconda Penelope insomma, unica eccezione in un tempo greco antico e misogino, che fa fronte alle insidie dei Proci come Elena a quelle di Teoclimeno figlio del re Proteo. Perché Marilyn Monroe non è Marilyn idolo hollywoodiano costruita come una nuvola, ma è Norma Jeane Baker con tutta la sua infanzia e la sua vita. Perché Elena Era una nuvola come Marilyn, una maschera costruita, una finzione della storia e delle storie, una bugia, una non verità che si trasmuta nel reale, nella verità solo col suo doppio, col suo essere insieme tra donne e con le donne.

Vado a concludere trascrivendo due momenti del libro. Il primo che introduce il resto, e lo farò con gli accapo che saranno versi in battute teatrali: «Entra Norma Jeane Baker. / Prologo. / Questo è il Nilo e io mento. / Vero, in entrambi i casi. / Siete già confusi? / La pièce è una tragedia. Guardate ora attentamente / come la salvo dal dolore. / Mi aspetto che sappiate della guerra di Troia / e di come fu causata da Norma Jeane Baker, / sgualdrina di Troia. / Be’, benvenuti nelle Pubbliche Relazioni! / Era tutta una truffa. / Un bluff, un espediente, un imbroglio, una trovata, / un gioiello di pensata. / La verità è / che una nuvola andò a Troia. / Una nuvola sotto forma di  Norma Jeane Baker. / Furono gli dèi a renderlo possibile, o quasi. / Mi portarono in volo a Los Angeles. Mi rinchiusero in una / suite del Chateau Marmont. / Mi dissero di imparare le battute per Scontro di notte, / un film di Friz Lang, il celebre regista. / Quanto basta sul suo conto. / A proposito di eserciti ignoranti però, / la truffa della nuvola ingannò tutti. / Forse un migliaio di troiani morì a Troia. Mi dispiace per / loro. / Mi dispiaccio per me stessa. / Conoscete l’espressione “avvelenamento del botteghino”? / Come redimere il buon nome di Norma Jeane? / Come spiegare tutto ad Arthur? / Il mio buon marito Arthur, / re di Sparta e di New York, / caro onorevole, antiquato Arthur, / che condusse un esercito a Troia per riconquistarmi. / Dopo tutto io sono il suo più caro possesso – i greci / valutano le donne meno dell’oro puro / ma leggermente in vantaggio su buoi, pecore e capre – / ma anche, / cosa più importante, / Arthur è un uomo che crede nella guerra. / Uomini che stanno spalla a spalla, / temprati dal fuoco della battaglia. / Lui stesso / in un elmo crestato, / e il suo esercito che gli si increspa intorno / come api che odorano il miele. /  Arthur ringrazia ogni giorno gli dèi / per la precisione del comando, / che tiene in ordine l’anarchia del suo cuore. / Una nuvola? lui dirà. Andammo fino a Troia per prenderci / una nuvola? / Vivemmo tutti quegli anni immersi fino al collo nella morte / per una nuvola? / Non credo mi crederà. / Non penso di crederci. / Ma pensate, / quando i greci dapprima attraccarono a Troia / potevano vedere quella città leggendaria che risplendeva / a uno stadio da football di distanza. / Ci misero dieci anni per avvicinarsi. / Un migliaio di magliette insanguinate sulla spiaggia. // Ah mi serve qualcosa da bere. / O una grande tazza di panna montata. Devo pensare. // NORMA JEANE si siede, tira fuori i ferri da maglia.»

Bene, ho voluto trascrivere queste tre pagine per ben definire quanto già scritto, per testimoniare la perizia di questa splendida poeta drammaturgo – un plauso al traduttore interprete di una altrettanto splendida trascrizione –, l’attenzione alle spezzature, a quel ‘lui’ dopo l’interrogazione scritto tutto in minuscolo, la capacità di spostarsi nel tempo e nelle storie, facendoli diventare un’unica strada, un unico percorso di testimonianza cruda e viva, di un pensiero emotivo che rompe ogni volta i confini dei singoli, per dirci immersi noi tutti in un unico percorso senza tempo.

Finisco con καιρός “opportunità”. In questa sezione – e ne sono nove, che sento anche come proiezioni e voce fuori campo –, la meraviglia dei passaggi filologici e mentali. Ognuna è suddivisa in vari momenti, questa in tre: STORIA MILITARE : SEZIONE N.8; NON ANCORA IRONIA ; MOMENTO ISTRUTTIVO. Nel primo, da quella antica parola greca  – e come ogni volta –, la Carson parte e ci dice dell’età del bronzo e di quelle armi troiane in bronzo per punti mortali. Ne erano tre chiamati καιρία «dal greco καιρός, che significa “il luogo e il momento giusti perché qualcosa possa accadere, il momento critico, l’occasione perfetta”.». Nel secondo ci dice dell’accento spostato sulla prima sillaba di καιρός e che «καῐρος, era un termine tecnico della tessitura … quel punto critico nello spazio e nel tempo in cui la tessitrice deve infilare il suo filo attraverso uno spazio che si apre momentaneamente nell’ordito del tessuto.». MOMENTO ISTRUTTIVO, il terzo: «Abbiamo già riflettuto sulla prima apparizione di Elena nell’Iliade di Omero (III, vv. 126-29) dove la donna che siede nella sua stanza trasmette in diretta la guerra di Troia mediante un arazzo. Il suo filo s’intreccia dentro e fuori dai teschi viventi.».

Alla donna quindi non la colpa della sua bellezza e della sua affascinazione, non la colpa della guerra e della sua violenza, ma, e senza alcuna retorica o ovvietà abusata, la capacità di tessere, ricucire denunciando sempre la verità. Non ho altro da aggiungere se non ringraziare Anne Carson e consigliare la lettura di Era una nuvola in attesa di una sua messa in opera a teatro. 

Ariele D’Ambrosio 

Napoli febbraio 2023