Guida Galattica per i Lettori | Maggio 2023

contenuti

  • AMICO ROMANZO L’infelicità è un cuscino di piume di Federica CAIAZZO
  • SIPARI APERTI TRA TEATRO E CINEMA: LO STRAORDINARIO TALENTO DI VINCENZO SCARPETTA. Film ritrovati e scritture cinematografiche. di Emanuela FERRAUTO
  • COME SUGHERI SULL’ACQUA Ogni fratello si augura un simile ricordo fraterno di Ariele D’AMBROSIO

AMICO ROMANZO

L’INFELICITÀ È UN CUSCINO DI PIUME

di Federica CAIAZZO

Carmen Verde, Una minima infelicità, Vicenza, Neri Pozza, 2022

Sul vocabolario Treccani ‘minimo’ è sinonimo di esiguo, minuscolo, piccolo, ma anche infinitesimale, insignificante, microscopico. Che nel titolo l’aggettivo venga accostato alla parola infelicità crea un certo stupore, un effetto sorpresa, che non si attenua, ma anzi cresce con la lettura del romanzo a tal punto che l’intera storia sembra ruotare attorno a quell’attributo. Esigue sono le pagine che compongono il volume, segmentate in minuscole scene di vita, illuminate a intermittenza dalla voce narrante, quella di Annetta Baldini, bambina minuta, rimasta piccina anche in età adulta. Dietro la piccolezza fisica di Annetta si cela la ristrettezza del suo orizzonte di vita, racchiuso accanto, alle spalle e nell’ombra della madre, Sofia Vivier, donna fragile e distante, affetta da un impalpabile eppure ingombrante male di vivere. L’infelicità di Sofia sembra essere il lascito di sua madre Adelina, morta suicida, e unisce le tre donne in una trasmissione matrilineare di eredità sentimentale che caratterizza le loro vite come una sordina messa sul cuore e che non lascia scampo. Proprio perché sorda e non urlata questa infelicità minima diventa profonda, commovente, disperata: «Se ci prendeva l’inquietudine, mettevamo tra noi un cuscino di piume, una morbida barriera nella quale i nostri silenzi affondavano senza farci troppo male.».
Una minima infelicità è il romanzo di esordio di Carmen Verde e fa parte dei dodici titoli candidati al prossimo Premio Strega. Per comprendere la potenza espressiva dell’autrice basterebbe leggere i Ringraziamenti: «È questa la pagina che vorrei più grande delle altre. La pagina della gratitudine, il magnifico finale.». La delicatezza dei ringraziamenti è la stessa con cui Carmen Verde ci introduce nel mondo della piccola Annetta la quale racconta alcune vicende della sua famiglia e, in particolare, la venerazione per sua madre che si delinea quale figura elegante, maestosa, irraggiungibile, agli occhi della figlia. Ai fatti narrati, pochi ed essenziali, si interpongono brevi descrizioni di fotografie, di Sofia, di Adelina, di Annetta, che a mo’ di poste del Rosario scandiscono la preghiera che la protagonista recita in ricordo della madre. 
La vicenda si apre proprio con la descrizione di una fotografia delle due protagoniste e racconta poi in ordine cronologico alcuni episodi della vita di Annetta a partire dalle scuole elementari, quando attendeva con ansia di uscire da scuola per raggiungere Sofia che sedeva su una panchina ad aspettarla; tenendosi per mano tornavano insieme a casa percorrendo strade sempre più lunghe, perdendosi tra i viali di una periferia sconosciuta. Questi momenti erano particolarmente cari ad Annetta che cercava una esclusiva complicità con la madre, senza difese né consapevolezze. Quando Sofia smise improvvisamente di andare a prenderla a scuola, Clara Bigi, domestica severa e tiranna, offrì ad Annetta la possibilità di creare una nuova tacita intesa con la madre. Tuttavia Sofia era sempre più distante, trascorreva molto tempo fuori casa, beveva e su di lei circolavano continui e insistenti pettegolezzi. Dopo la morte prematura del padre Antonio, che era stata presenza silenziosa e discreta, e licenziata Clara Bigi, Annetta rimase sola in casa con Sofia. Da quel momento prendersi cura di lei e della sua salute di giorno in giorno più cagionevole divenne la sua unica ragione di vita. 
La trama sembra dunque costruita su episodi scelti che rappresentano dettagli minimi e preziosi di un’esistenza; essi danno profondità alla storia ma soprattutto ai personaggi che appaiono vivere al di fuori delle pagine, nello spazio del non detto. Sapiente è inoltre la scelta del punto di vista, perché il lettore si fa a sua volta piccolo assieme alla narratrice, regredisce con lei nell’amore ossessivo per la madre, nella ricerca vana di una esclusiva complicità. Uno stile raffinato, elegante, indulgente verso un delicato lirismo, tiene salde le fila del romanzo e avvolge la storia come il metaforico cuscino di piume delle protagoniste. Nelle minuterie del racconto ci sono, pertanto, il senso, la bellezza, l’originalità del romanzo: Annetta e Sofia e la sordina sui loro cuori infelici. 



SIPARI APERTI

TRA TEATRO E CINEMA: LO STRAORDINARIO TALENTO DI VINCENZO SCARPETTA. Film ritrovati e scritture cinematografiche.

di Emanuela FERRAUTO

TRA TEATRO E CINEMA: LO STRAORDINARIO TALENTO DI VINCENZO SCARPETTA. Film ritrovati e scritture cinematografiche.

Il corposo volume è stato pubblicato nel 2016 e lo studio è stato approfondito e descritto dal prof. Pasquale Iaccio durante un entusiasmante incontro svoltosi il 15 marzo 2023 presso il Centro Studi Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo.

 La scoperta e riscoperta del talento di Vincenzo Scarpetta sono elementi caratterizzanti questa approfondita analisi, emersi prepotentemente durante la visione del film muto Il gallo nel pollaio e altri frammenti, proiettati durante l’incontro svoltosi presso il Centro Studi. Si tratta, dunque, di documenti inediti straordinari che hanno messo in evidenza la propensione del figlio (legittimo) di Scarpetta verso l’arte cinematografica.

Il riscatto di questo attore e autore che nasce sul palcoscenico, vivendo l’ingombrante presenza del famosissimo padre e maestro Eduardo Scarpetta, citato nuovamente all’interno dei più recenti film italiani che hanno ripercorso la controversa e complessa storia della famiglia Scarpetta-De Filippo, appare evidente anche all’interno di questa approfondita analisi.

Il volume, che conta ben 337 pagine e che si intitola Pionieri del cinema napoletano. Le sceneggiature di Vincenzo e i film perduti di Eduardo Scarpetta, edito da Liguori, è stato curato non solo da Pasquale Iaccio, ma anche dall’erede Mariolina Cozzi Scarpetta, che ha riportato documenti inediti e di grande valore, recuperati negli Archivi Privati della famiglia Scarpetta.

L’introduzione è firmata da Mino Argentieri, il quale accompagna il lettore, delineando un percorso storico e storiografico che sicuramente è il filo conduttore dell’intero studio; in particolare Argentieri sottolinea il ruolo fondamentale che ha avuto la città di Napoli nello sviluppo della cinematografia italiana e nell’evoluzione di questa nuova arte, caratterizzata in maniera originale e connotata attraverso aspetti e indagini propriamente teatrali, grazie all’inclinazione artistica partenopea. Il perno di questo complesso passaggio e di questa inevitabile convivenza tra teatro e cinema, esempio di quella straordinaria evoluzione della cultura e delle arti che ha vissuto l’Italia nel passaggio tra Ottocento e Novecento, è proprio Vincenzo Scarpetta, il “Vincenzino” della famiglia, che mostra e dimostra l’enorme potenziale e l’apertura verso un percorso innovativo, tecnicamente e registicamente in parte sconosciuto, portandosi dietro il bagaglio e l’esperienza maturati sul palcoscenico, l’occhio artistico e il desiderio di cambiamento.

L’indole apparentemente sottomessa e fedele agli insegnamenti paterni sembra emergere diversamente attraverso la lettura e l’approfondimento presenti in questo volume: se Eduardo Scarpetta si avvicina al cinema, spinto dalla fama e invogliato dalle Case di Produzione, colui che si mostrerà più propenso e pronto ai cambiamenti sarà proprio “Vincenzino”, il quale vivrà perfettamente in simbiosi tra teatro e nuova arte, rappresentando l’artista del nuovo secolo che scrive anche per il cinema, inserendo anche aspetti ed elementi cinematografici all’interno degli spettacoli teatrali.

Le notizie su Vincenzo Scarpetta sembravano, in passato, limitate al lavoro e alla presenza del padre, ma secondo Iaccio le scoperte legate a lui non si fermano a questo volume.

Sin dalle prime pagine, lo studio appare ricchissimo, non solo da un punto di vista bibliografico, ma soprattutto è notevole la presenza di note che accompagnano ogni pagina, attraverso un complesso apparato critico che riconduce anche ai numerosi studi pregressi firmati dal prof. Iaccio. Questo volume nasce non solo attraverso lo studio, il ritrovamento di documenti e materiali inediti, ma grazie anche alla collaborazione della famiglia Scarpetta, della Fondazione Eduardo De Filippo e della Cineteca Nazionale.

Quasi 400 pagine, dunque, divise in due macro-contenitori: una prima parte ed una seconda parte. La prima si apre con le Note Introduttive firmate da Mariolina Cozzi Scarpetta che descrive e delinea la storia e le ramificazioni della famiglia Scarpetta-De Filippo all’interno del primo capitolo, dal titolo ’O figlio e ’o papà: Vincenzo ed Eduardo Scarpetta tra teatro e cinema. Il capitolo successivo, quello più corposo dell’intero volume, dal titolo Eduardo e Vincenzo di fronte alla musa del cinematografo, riporta lo studio firmato da Pasquale Iaccio: suddiviso in ben 13 sotto capitoli, attraverso i quali l’autore e curatore delinea un percorso sicuramente storico, lungo la vita artistica di Vincenzo Scarpetta. Questo macro contenitore si sofferma soprattutto sulle produzioni cinematografiche in cui venne coinvolto il padre, sulle case cinematografiche napoletane, sulle produzioni, ma soprattutto sulla scrittura cinematografica di Vincenzo, oltre alle sue interpretazioni.

In particolare, in questi 13 sotto capitoli, si analizzano la struttura e le tendenze dei film di inizio secolo, ponendo l’attenzione sulle ambientazioni, sui colori delle scene, e soprattutto sulla natura, sullo stile e la lingua delle didascalie che erano proiettate all’interno dei film muti.

Pasquale Iaccio recupera un elenco delle pellicole a cui parteciparono Eduardo Scarpetta e il figlio Vincenzo; lo studioso utilizza documenti di archivio, ma anche le fonti giornalistiche e della critica cinematografica per rilevare informazioni importanti e soprattutto per avere dei riferimenti temporali e delle date in cui inserire la creazione e la collocazione di questi film.

Una parte predominante del volume punta all’analisi e alla presentazione di un documento di straordinaria importanza: la pellicola del film Il gallo nel pollaio, datata 1916, prodotta da Palatino Film, diretta da Enrico Guazzoni, protagonista il nostro Vincenzo Scarpetta, documento di enorme importanza, visionato dai partecipanti dell’incontro svoltosi presso il Centro Studi Teatro. La pellicola è stata ritrovata all’interno della National Library of Norway, acquisita nel 2012 dalla Cineteca Nazionale che si è attivata, insieme alla Fondazione De Filippo, nelle attività di restauro, includendo anche la pellicola Tutto per mio fratello. Il ritrovamento di pellicole italiane nel resto d’Europa permette il recupero di documenti ritenuti dispersi o perduti che spesso presentano uno stato di conservazione migliore perché poco proiettate o già restaurate, e testimoniano la diffusione della filmografia storica italiana e l’attenzione rivolta ad essa anche all’Estero. 

All’interno di un discorso che evidenzia la storia di una famiglia o di un artista, si intersecano aspetti interessanti e complessi della ricerca nel campo artistico, dal restauro delle pellicole, agli appunti dell’autore, alle foto, ai manifesti cinematografici o alle locandine degli spettacoli. Ed è quello che si mette in evidenza in questo volume. Questo studio, dunque, si sofferma anche sugli aspetti della scrittura e non solo su quelli della recitazione o della storia del cinema e del teatro. Inoltre, emergono prepotentemente gli aspetti giornalistici legati alle interviste, fonti preziosissime, e soprattutto il rapporto con i produttori, finanziatori e registi. 

Una parte del primo e ampio capitolo firmato da Iaccio riporta riferimenti alle cinque pellicole prodotte da Musical Film, in cui era presente Eduardo Scarpetta. Pare che lui imponesse le sue decisioni, scontrandosi con le case cinematografiche e i finanziatori, subendo anche gli insuccessi cinematografici. Scarpetta padre, infatti, era stato condotto verso il cinema nella speranza che il suo nome, famosissimo a teatro, potesse produrre lo stesso successo anche nel cinema. Il fallimento della Casa Cinematografica e del progetto portò al ritiro delle cinque pellicole. Il rapporto tra Eduardo Scarpetta e “Vincenzino” si esplicita anche nel lavoro cinematografico. Perché dunque non chiese consiglio al figlio più esperto di cinema?

Importante anche il riferimento alle case cinematografiche napoletane che Iaccio riporta all’interno di questi capitoli, gli studi di Poggioreale e quelli della Vesuvio Film, gli studi che venivano inaugurati anche sulle colline del quartiere Vomero, più luminosi, grazie alle strutture in ferro e vetrate che facevano risparmiare sull’illuminazione, grazie anche alla posizione elevata sopra la città. Questi studi venivano definiti “Teatri di posa”, in cui si giravano le scene degli interni e di cui Eduardo Scarpetta si lamentava aspramente nei suoi diari o quaderni di appunti, per le lunghe ore di posa, soprattutto d’estate, ad agosto, a Poggioreale, all’interno di una pseudo-serra cinematografica, come riportano i documenti citati da Iaccio.

Tra le pellicole più antiche, di cui Iaccio descrive le trame all’interno di questo volume, ma anche la produzione e gli attori, tra cui ritroviamo Vincenzo Scarpetta, si ricorda anche Tutto per mio fratello, del 1911.

L’ultima parte del primo capitolo si concentra sulla scrittura delle sceneggiature cinematografiche di Vincenzo Scarpetta, tenendo conto anche dell’epurazione linguistica e di contenuto che cominciò a diffondersi con l’avvento del Fascismo, senza tralasciare il rapporto tra Vincenzo e la musica, anche quella che, secondo quanto ipotizza lo studioso, avrebbe composto per i suoi film muti.

Iaccio conclude con i riferimenti all’avvento del cinema sonoro, che ci permette ancora oggi di ascoltare la voce di Vincenzo Scarpetta o dello stesso Raffaele Viviani, fino al declino della parabola artistica del figlio di Scarpetta, quando nel 1940 fu coinvolto nel remake cinematografico di Miseria e Nobiltà. Pasquale Iaccio si sofferma su un importante lavoro parallelo in cui mette a confronto le varie edizioni cinematografiche di Miseria e Nobiltà, tenendo conto dell’opera teatrale originale e del successo di cui aveva goduto, facendo riferimento anche alla pellicola in cui era interprete il padre nel 1914.

L’ultimo capitolo della prima parte, dal titolo Film perduti, riscoperti e restaurati: sulle tracce di Vincenzo Scarpetta, è firmato da Sergio Bruno, Responsabile dell’Ufficio Gestione Archivio Filmico della Cineteca Nazionale. L’apporto fornito dalla descrizione del restauro del film Tutto su mio fratello, e in parte anche del film Il gallo nel pollaio, è fondamentale all’interno di un discorso che riguarda il recupero di fonti inedite. Questo capitolo, infatti, approfondisce le tecniche di restauro della pellicola, accennando anche ai processi digitali di recupero, contribuendo ad ampliare e a completare un discorso più ampio sulla storia del cinema e sul rapporto tra gli Scarpetta e la cinematografia. Bruno, infatti, fa riferimento anche alla composizione delle pellicole e agli interventi più antichi di taglio e restauro, che ovviamente si modificano nel corso del tempo ed entrano quindi a far parte di un discorso storiografico.

La seconda parte del volume è affidata a Mariolina Cozzi Scarpetta che attinge a piene mani dall’Archivio privato della famiglia Scarpetta e conduce il lettore verso la lettura di documenti inediti che confermano e attestano quanto è stato scritto e analizzato nella prima parte di questo studio. Il primo sotto capitolo di questo secondo macro-contenitore fa riferimento ai cinque film citati precedentemente, a cui partecipò Eduardo Scarpetta nel 1914, per la Musical Film di Renzo Sonzogno. I titoli in questione sono: Miseria e Nobiltà, Tre pecore viziose, Lo scaldaletto, La nutrice, Un antico caffè napoletano. Nella prima parte del volume, Iaccio analizza la produzione di questi cinque film, sottolineando anche la storpiatura del titolo da parte di Eduardo Scarpetta, nei suoi appunti privati (La nutrice diventa ’A Nutriccia, Lo scaldaletto diventa ’O Scarfalietto). La Cozzi Scarpetta si sofferma sull’assenza di alcune di queste pellicole, le cui notizie fortunatamente sono recuperabili attraverso le famose agende sui cui Eduardo Scarpetta prendeva appunti, segnava le spese e gli avvenimenti della giornata, ma anche attraverso i documenti depositati all’interno della Sezione Lucchesi Palli, presso la Biblioteca Nazionale di Napoli ed anche attraverso gli appunti e le annotazioni dello stesso figlio. Incastrando e intersecando queste informazioni è possibile ricostruire la vita di queste pellicole e i rapporti tra Eduardo Scarpetta e Sonzogno. Questa parte del volume è preziosissima, perché riporta alcune foto delle pagine di questi diari-agende, gli elenchi delle annotazioni trascritte dalla stessa Cozzi Scarpetta, ma soprattutto sono riportati i testi delle sceneggiature dei film scritti da Vincenzo.

Pasquale Iaccio affronta nella prima parte del volume il discorso sul concetto di “riduzione”, chiedendosi cosa intendesse a quel tempo Vincenzo Scarpetta quando parlava di riduzione del testo: poteva intendere la riduzione dalla scena allo schermo, come è probabile. Anche la figura dello sceneggiatore rimane ibrida, ancora agli inizi del Novecento, poiché attinge le tecniche di scrittura sicuramente dal teatro. I testi riportati da Mariolina Cozzi Scarpetta appaiono in effetti come dei copioni teatrali, eccetto per l’indicazione delle didascalie, delle ambientazioni esterne, dei riferimenti alle inquadrature, che oggi appaiono banali, ma se riferite a quell’epoca ci dimostrano l’innovazione che portava avanti Vincenzo Scarpetta (pensiamo a Tutto per mio fratello in cui Vincenzo si sdoppia in due gemelli identici, attraverso effetti speciali ottenuti su pellicola).

All’interno dei sotto capitoli che riguardano le sceneggiature firmate da Vincenzo, la studiosa riporta anche un attento glossario dei simboli e sottolinea la scelta di evidenziare in grassetto o in corsivo alcuni punti di questi testi, passaggi che costituiscono inserimenti di scrittura cinematografica all’interno di un testo che rivela apparentemente una natura teatrale. Molto preziose, all’interno di questa sezione del volume, sono le schede tecniche che riguardano per lo più i film muti e sonori di Vincenzo Scarpetta e i film perduti di Eduardo Scarpetta.

L’ultima parte del volume si chiude con una bellissima sezione iconografica: foto delle pagine di contratti, fotogrammi, immagini delle didascalie e foto di scena appositamente scattate e tratte dai film, documenti provenienti dall’Archivio privato Scarpetta, dal Fondo De Filippo o dall’Archivio di Sergio Bruno.

Pionieri del cinema napoletano. Le sceneggiature di Vincenzo e i film perduti di Eduardo Scarpetta, a cura di P. Iaccio e M. Cozzi Scarpetta, Napoli, Liguori Editore, 2016. €33, 72.

Versione digitale ebook (Adobe Digital Edition) su alcuni siti €17 (Unilibro)



COME SUGHERI SULL’ACQUA

OGNI FRATELLO SI AUGURA UN SIMILE RICORDO FRATERNO

di Ariele D’AMBROSIO

Campanotto Editore Poesia
2022, Pasian di Prato (UD)
Pagine 62
euro 10,00
Info:
edizioni@campanotto editore.it
https://www.campanottoeditore.it
tel. 0432.699.390

Viviamo in un’epoca di transizione in cui ci sembra perdere riferimenti certi tra lo scritto e la voce, tra la carta e lo schermo. Tutto sembra essere troppo e tutto sembra essere assente. Diventa persino difficile capire la qualità delle cose che ci capitano, la loro complessità o la loro insignificanza, in un tempo che ci fa tutti consumatori indotti, costruiti, intruppati.

Questo è quel tempo, in cui la poesia è tenuta nell’ombra per disinteresse e mancanza di critica militante. Il tempo, in cui troppo spesso è usata come abbellimento con versi estrapolati da mangiare con cioccolatini, col “poetico” che addolcisce ed infiocchetta ogni cosa. Il tempo, in cui ci sembra persino sovrabbondante e sovraesposta sui social, nell’illusione “poetante” e nei riti del narcisismo velleitario dell’autoreferenzialità. 

Perché dico tutto questo? Perché penso essere una fortuna avere tra le mani l’elegante libro della Collana di Poesia di Campanotto Editore, da sempre attento in modo serio a quest’arte. Questo libro con la sua copertina dal logo in rilievografia, come una ceralacca all’incontrario, uno stemma, un simbolo antico e nobile per il tatto delle dita che lo sfiora, una metafora dell’aristocrazia culturale, unica aristocrazia accettabile, quella della buona arte, della buona scrittura, in questo caso della buona poesia.

Tutto questo per le pagine che contengono Il Lieto Laccio di Lamberto Correggiari, con una bella nota di Carlo Marcello Conti che ha il sapore anch’essa di una poesia e che sintetizza bene in una frase quello che accadrà poi: Ogni fratello si augura un simile ricordo fraterno. Il fratello è Giorgio Correggiari.

Lo sfoglio e trovo subito tutto il sapore del ricordo che si fa presenza: poesie tra il 2011 e il 2014, fotografie familiari di loro giovani e adulti, eleganti nel loro fare collaborativo, fotografie dei nonni, dei genitori,  due dense biografie, e su tutto, il sentimento della fratellanza per un titolo che trovo magnifico: Il Lieto Laccio. Un laccio che non stringe e non costringe, ma è lieto come un sorriso che cattura il tempo dell’affetto profondo e tenero, leggero ed accogliente.

Delle due biografie trascriverò solo qualcosa, tra le mille tutte significative, per capire meglio da quale matrice creativa nasce questa poesia di cui ho piacere a parlare. 

Giorgio, andato via improvvisamente e troppo presto: … “Nel 1964 col fratello Lamberto crea il marchio “PAM PAM” proponendo un modo di vestire unico e completamente diverso della moda di allora. Inventano i concetti di “serie limitata”, di “unisex”, di “esclusività”, di “riciclo”. Introducono nelle loro collezioni materiali “tecnici”, tessuti d’arredamento, il “vintage” riciclando tessuti di rimanenza.”. E continua così con copertine su “ “Vogue Uomo”, “Harper Bazaar”, “Amica”.”. Ancora, “… nella mitica “Sala Bianca” di Palazzo Pitti … Per l’occasione creano una collezione avveniristica di “Abiti Gonfiabili” mai prima realizzati.”. E tanto altro girando per l’Italia e per il Mondo. “… “Aveva sempre cose nuove da proporre” così lo definisce Flavio Lucchini, mitico art-director di Vogue.”. Ma c’è un punto di questa biografia che mi sta particolarmente a cuore: “… Giorgio Correggiari dichiara di abbandonare le sfilate ufficiali della Moda Italiana a “Milano Collezioni”. Motiva la sua rinuncia col fatto che “la Moda è diventata solo Finanza”. “L’invasione del Mercato e della finanza è diventata così invasiva, omogeneizzante e assoluta da ridurre la creatività ad un meccanismo illusorio e mistificatorio, che manipola i valori e l’opinione pubblica. Questo meccanismo è sostenuto dai media, pubblicità e opinionisti, tutti compromessi direttamente o indirettamente da interessi economici”.”. Era la fine degli anni ’90, “… Giorgio Correggiari “Il Ribelle della Moda”.”. Qui, anche qui, in questo settore il modo d’essere di un poeta che fa dei contenuti un tutt’uno con la forma, mai acquiescente al sistema, ma voce e grido di dissenso nella sua creatività.

Lamberto: architetto con un percorso artistico multiforme, “… La giornalista Rachele Enriquez lo definirà nel 1970 su Vogue Uomo “l’intellettuale dei nostri stilisti”. … attivo in varie discipline, dalla pittura alla scultura, dalla grafica alla ceramica, dal design d’interni alla moda. Si dedica ad una intensa attività di installazioni e performance artistiche. Nel 1974 disegna per International Lighting Magazine la serie di “Lampade Poetiche”.”. E potrei continuare senza sosta citando nomi tutti di altissimo rilievo in Italia e nel mondo. Due ricordi anche affettuosi che da Milano raggiungono i nostri luoghi: “Poesie inedite di Franco Loi e Disegni e due acqueforti di Lamberto Correggiari, LeEdizioni di Nola, e nel 2017 il libro “Grazie Totò” in occasione del cinquantenario della morte dell’attore”.

Due stilisti, quindi, i fratelli Correggiari, ma molto più che stilisti, non solo stilisti, meglio creativi dello stile, con la ricerca poetica che si sviluppa in altri settori, con altri materiali non solo linguistici. E quando penso al “riciclo”, ai tessuti di “rimanenza”, ai materiali “tecnici” non posso non ricordare un gioco di Stefano Bartezzaghi: Dentro lo scarto c’è un sarto, dentro il sarto un arto. E sì, perché questo libro sembrerebbe un approdo ed invece sottolinea uno spazio artistico strettamente legato alla poesia, alle scelta di fare del residuale un’appartenenza, dell’assenza una presenza. 

Da tutto questo mondo, da tutto questo tempo, nasce il Il Lieto Laccio. «… Fuggì il vento dal cortile / il sole rimbalzò sui mattoni arsi / e l’ombra del melo nera / brillò al centro dell’aiuola. / Allora l’accaduto si fissò nella memoria …». È qui la forza della poesia per chi sa introiettare le parole disposte in un certo modo e con esse le emozioni, le visioni, le riflessioni, i sentimenti. L’ombra brillò, sembrerebbe un ossimoro, ma la parola in una poesia dice del mentale in cui tutto può avvenire, esser visto ed udito, persino toccato.

Poesia lineare in versi liberi, ma libera dai patetismi in cui sarebbe potuta inciampare per il tema sentimentale del ricordo e della fratellanza. Ed invece uno stile che si struttura nell’essere ancora una volta creativo con i suoi costrutti soprattutto sintattici e che lo rende riconoscibile nella sua  singolarità. Versi che si susseguono sempre secchi e densi e per questo incidono. Anche la dedica a inizio libro si fa poesia: «C’è chi non rinuncia / ma come natura nei suoi ritmi / fa di quei cicli il suo destino / e continua come un bambino / il gioco che non conosce / senza preoccuparsi dell’inizio e della fine. / Così ritrovo caro Giorgio / pur nell’assenza il laccio lieto / di un dialogo solidale e fraterno.».

A volte il titolo, a volte un asterisco, una stellina a sei punte, un fiorellino a sei petali per tre segmenti riuniti in un punto centrale. 

Poesie che hanno il merito di non appiattirsi mai nell’ovvietà cronachistica dei temi, sempre salve nei versi che mai si diluiscono in filosofeggiature volatili di cuori pulsanti in espansione. Ma restano semplicemente care come carezze discrete, attente, amorevoli.

«… “La Tuffatrice” simbolo gemello / di quel tuffatore tombale / figura di Paestum museale / che rividi il mercoledì / ad annunciarmi ignaro / che il giovedì mattina / l’arco teso della tua vita / spiccava il volo / e al mio correrti incontro / m’accoglievi muto e freddo / conficcandomi nel cuore / la freccia fraterna dell’enigma.».

Poesia del ricordo, quindi, della fratellanza, ma anche dell’esistere sospeso nel mistero e nel silenzio lacerato del distacco. Ma di un distacco che si fa nota e suono che sembra concludersi per poi ricominciare in una vibrazione trasparente. Ed allora: «… Dove l’argine del Reno / è fitto di filari di pioppi / è di Cento la porta fondale / fissata dai vetri della cucina / come quinta eterna nel tempo / dove la fantasia spingeva l’occhio / al di là del reale / per immaginare illimitato / lo spazio sconosciuto della vita. …». E mi perdoni Lamberto Correggiari se cito qualche verso di un Maestro che mi riporta a lui: È il primo dopocena, quando il vento / sa di calde miserie familiari / perse nelle mille cucine, nelle / lunghe strade illuminate, / su cui più chiare spiano le stelle. 

È citando Pier Paolo Pasolini, che ne colgo l’appartenenza  in quello stato mentale che chiamerei di spiritualismo laico. Spiritualismo ben saldo, che resta sempre ancorato all’essere e al suo esistere.

Sto per concludere, ed il distacco da questa lettura mi pesa, perché mi allontano da persone sempre impegnate nella ricerca del bello e del buono, ma soprattutto perché mi allontano dalla tenerezza del vivere.

«… lancerai la tua idea come / la vista di un falco davanti / all’ammirato stupore di persone / che usano logiche meccaniche / e restano attonite a quel tuo proporre / un pensiero originale e fatato …».

La poesia, e lo stupore delle logiche meccaniche di fronte al suo pensiero originale e fatato.

Napoli aprile 2023