La famiglia sbilenca di Emma Dante: riflessioni su Misericordia. Solitudine, violenza e morte generano vita.

di Emanuela FERRAUTO

Pubblico visibilmente commosso ed emozionato al Teatro Mercadante di Napoli, gremito di spettatori anche durante la replica pomeridiana, così come accade frequentemente quando Emma Dante presenta un suo lavoro nella città partenopea. Il pubblico napoletano, infatti, è da tempo preparato e affezionato alla messinscena delle opere della drammaturga e regista siciliana, che in effetti ha presentato a Napoli, negli ultimi anni, in debutto o in replica, numerosissimi spettacoli.

Anche in Misericordia ritroviamo la firma esplicita dell’autrice: emergono evidenti gli elementi caratterizzanti la poetica di Emma Dante, la preparazione attoriale e corporea, i temi persistenti in numerosi suoi testi e spettacoli, a partire dalla Trilogia della famiglia, fino al più recente Pupo di zucchero, in scena a Napoli a maggio scorso, nel 2022

 (https://www.centrostuditeatro.it/2022/06/la-morte-e-la-famiglia-emma-dante-con-il-suo-pupo-di-zucchero/). 

In scena dal 19 al 30 aprile, anche quest’anno la drammaturgia siciliana accompagna la chiusura della stagione teatrale; Emma Dante ci presenta Arturo, bambino ipercinetico – come è definito nella descrizione dello spettacolo – nato da violenza. La violenza genera violenza, si potrebbe dire, ma in questa famiglia speciale, dalla violenza sono stati generati amore ed eterno movimento. Arturo, infatti, non vuole fermarsi mai ed è evidente la disabilità mentale, e in parte anche fisica, che affligge questo bambino mai cresciuto. Balla e volteggia sul palco perché il suo incessante movimento è ricerca spasmodica di comunicazione e di sopravvivenza. Dall’aspetto dinoccolato e dal linguaggio incomprensibile, questo personaggio presenta il corpo di un adulto, corpo che sembra evolversi nel corso del racconto scenico, sciogliendosi e rigenerandosi ripetutamente. La memoria inconscia della violenza subita dalla madre quando era incinta sembra esplodere attraverso un movimento costante, una richiesta di attenzione nei confronti della vita.

La scena è apparentemente vuota, tre sedie, tre donne, il buio sul fondo, ma improvvisamente fuoriescono continuamente oggetti che “esplodono”, che riempiono tutto il palcoscenico e di cui si servono le tre attrici per accompagnare un linguaggio spesso incomprensibile.

La morte ha generato vita, la Misericordia, come ci ricorda il titolo, è un sentimento avvertito anche dal pubblico, sembra essere la benzina che accende questo motore. Senza misericordia neanche Arturo sarebbe sopravvissuto: a causa della violenza da parte del padre, si accelera il parto del bambino e, in seguito alla morte della madre, Arturo è affidato quindi alle tre donne che diventeranno la sua famiglia. Anna, Nuzza e Bettina sono tre prostitute, le sedie su cui siedono appartengono alla strada, luogo in cui cresce e cerca di sopravvivere anche Arturo.

L’intero racconto, definito “favola contemporanea”, è costruito sulla vestizione e sullo smascheramento. Le tre donne accudiscono il ragazzo, uomo fatto in effetti, e “ciciuliano”, come si direbbe in siciliano, ossia parlano fittamente tra loro, nelle orecchie, da una zona all’altra del palcoscenico, prendendo decisioni e litigando sull’educazione del ragazzo. Si avvicinano, si allontanano, si affannano, affinché il loro Arturo possa crescere, o meglio sopravvivere, nel migliore dei modi, dimostrando ingenuità e difficoltà. Durante la notte le donne si trasformano in prostitute, perdono gli abiti da casalinghe e da madri putative, accendono il palcoscenico, indossano abiti succinti, diventano provocanti nei confronti degli spettatori, ammiccano, coinvolgendo in questo “gioco” anche il povero Arturo, che indossa abiti femminili e pannoloni. Il grottesco emerge prepotentemente e il pubblico prova sicuramente misericordia nei confronti di questi protagonisti, comprende la fatica delle povere donne che arrancano nella vita e cercano di crescere il ragazzo disabile.

Il diritto alla sopravvivenza sembra emergere attraverso la storia di una famiglia “rimediata”, nata dalla morte, in cui, ancora una volta, i genitori spariscono e, in particolare, le madri muoiono, i padri abbandonano.

Le tre attrici, già conosciute e riconosciute all’interno degli spettacoli di Emma Dante, Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco, Leonarda Saffi, accompagnano lo straordinario Simone Zambelli nei panni di Arturo, e ricordano le posizioni sceniche adottate anche ne Le sorelle Macaluso, spettacolo da cui si recupera anche la commistione tra lingua napoletana e lingua pugliese. 

Non è importante comprendere tutte le parole, pronunciate velocissimamente, incastrate le une con le altre, quasi in un’affannosa corsa per dire tutto, per sopravvivere a tutti i costi, contro il silenzio e le difficoltà del povero Arturo che, però, mostra la sua vitalità ballando sul palcoscenico, aspettando la banda del paese e il rumore della grancassa.  Lo stesso attore spesso gira su se stesso, attraverso un movimento armonioso che coinvolge tutto il palcoscenico, memore delle Danze Sufi, che racchiudono l’armonia e l’amore con il mondo intero.

Per la prima volta in uno spettacolo di Emma Dante il percorso sembra ribaltarsi o intraprendere una strada inversa: se le famiglie descritte nei suoi testi e nei suoi racconti scenici sembrano partire da un momento positivo degradando poi verso la morte, con il culmine raggiunto in Pupo di zucchero, con questo spettacolo si parte dalla morte aprendo spiragli di speranza, nonostante i personaggi vivano nel completo degrado sociale e culturale da cui proveniva anche la madre del bambino.

Il nostro Arturo nasce da un padre falegname, un “Geppetto” moderno che però non ha amato il suo burattino. Lo stesso attore sembra muoversi a tratti come un burattino, gestendo male i movimenti, trasformandoli in alcuni momenti in flussi leggeri e armoniosi, ritornando, poi,   nell’imbarazzo della disabilità mentale.

Le tre donne, le tre fate madrine, sostengono e accompagnano il nostro protagonista, coinvolte in questi movimenti o bruschi arresti, scontrandosi, amandosi e odiandosi, cercando di andare avanti.

Anche il racconto è circolare, si avvia lentamente, molto lentamente, accelera prepotentemente e poi rallenta, tornando alla stessa situazione iniziale, apparentemente senza evoluzione.

Questo spettacolo, prodotto dal Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, dal Teatro Biondo di Palermo, da Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale e da Carnezzeria, colpisce soprattutto le donne che, alla fine dello spettacolo, appaiono particolarmente commosse. Forse alcune scene sembrano essere eccessivamente lunghe, altre ricordano sicuramente le scritture precedenti, creando qualche riserva rispetto all’originalità di questo spettacolo. Pur tenendo conto anche di queste considerazioni, occorre osservare questo lavoro parallelamente agli altri, in quanto rappresenta un ulteriore importante tassello di un discorso più ampio sulla famiglia, sulla donna, sui rapporti e sulla vita/morte, che Emma Dante ha intrapreso da lungo tempo. 

Foto di Masiar Pasquali per il Piccolo Teatro di Milano

MISERICORDIA
Teatro Mercadante, Napoli  
19-30 aprile 2023
scritto e diretto da Emma Dante
con Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco, Leonarda Saffi, Simone Zambelli
luci Cristian Zucaro
assistente di produzione Daniela Gusmano
tecnico in tournée Alice Colla
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Teatro Biondo di Palermo, Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale, Carnezzeria