CASANOVA – di Emanuela Ferrauto

CASANOVA
Donne: questo il primo elemento che viene in mente quando si sente parlare di Giacomo Casanova, intellettuale del Settecento che viene riportato in scena da Ruggero Cappuccio.
Ma in realtà esiste un mondo sommerso ed emerso, molto più complesso, variegato e ricco di elementi, all’interno del racconto-vita di quest’uomo. Un viaggio a ritroso in cui il protagonista racconta la sua vita attraverso un’ambientazione onirica, che riproduce sul palcoscenico i fantasmi di un intero viaggio. Casanova trascorre gli ultimi anni della sua vita, in miseria, rinchiuso presso il castello di Dux, in Boemia, dove svolge il ruolo di bibliotecario, per volere del Conte di Waldestein. E proprio da questo luogo parte un discorso contornato di flashback,  aneddoti,  personaggi e luoghi: impossibile qui raccontare l’intera vicenda del Veneziano, descritta dallo stesso attraverso l’autobiografia Histoire de ma vie, in una commistione di veridicità storica e di romanzo, trasmessa anche attraverso le numerose lettere, pubblicate nel corso di studi e di ricerche. Proprio sulla fusione tra racconto epistolare e memorie sembra essere ricostruita l’intera sceneggiatura dello spettacolo di Cappuccio, in scena dal 4 all’8 marzo, presso il Teatro Nuovo di Napoli. Protagonisti Roberto Herlitzka, cinque donne e la regia di Nadia Baldi. Interessante il connubio tra un autore ed una regista, e al centro un uomo, un personaggio che spesso viene ricordato per le sue avventure amorose e libertine, piuttosto che per la sua scrittura ed il suo ruolo di testimone. Simbolo del legame corporeo, psicologico, storico, tra l’uomo e la donna, la cui fusione è evidente soprattutto nell’ultima parte dello spettacolo, la vita di Casanova rappresenta anche un ricco contenitore degli eventi storici dell’Europa della seconda metà del Settecento. I luoghi ed i personaggi incontrati dallo stesso Casanova, nel corso della sua vita, sono profondamente caratterizzati dalla cultura settecentesca europea, pre e post Rivoluzione Francese. Giacomo, infatti, muore nel 1798, periodo in cui le frantumazioni violente apportate dalla Rivoluzione rivivono in trasformazioni ancora inevitabilmente in atto, non solo in Francia, ma nell’Europa intera. È l’ottica politica, ma anche sociale e culturale,  che cambia profondamente. Dicevamo, dunque, delle lettere, che si mescolano alle memorie, alla caratterizzazione autobiografica, alle riflessioni personali, al delirio. Durante gli ultimi giorni di vita, Casanova è affetto da una febbre che lo porterà alla morte, ma ciò che appare attraverso lo spettacolo, è che il delirio si dipana, via via, in una lucidità accecante: rimorsi, sentimenti, ricordi, immagini divertenti, paure, solitudini, dolori. Il racconto è impostato sulla falsa riga dell’elemento meta teatrale, accennando al personaggio di una commedia simbolica, che ha recitato durante tutta la sua vita. Insomma, delle vesti indossate e mai più tolte, proprio perché amate dallo stesso Casanova, ma soprattutto necessarie all’interno di un contesto storico-sociale che, da un lato, guarda alla trasformazione, dall’altro non abbandona il passato. Di certo gli ambienti frequentati dal Veneziano erano quelli della corte rococò, dei nobili e del mondo settecentesco incipriato e corrotto; nonostante egli conobbe sovrani illuminati, uomini di cultura e filosofi, uomini politici.  Anelava ad una affermazione negli ambienti nobiliari, con i quali ebbe frequenti contatti durante tutta la sua vita. Del resto Casanova era figlio di attori della Commedia dell’Arte, genitori assenti, dalla morte prematura del padre alla professione della madre, e forse figlio illegittimo del nobile Michiel Grimani, di cui parla nel suo libello Né amori né donne, ovvero la stalla ripulita: natura ibrida, la sua, che ripercorre e caratterizza sempre la sua vita.
E proprio con un “aprite!”, che si apre il sipario e lo spettacolo ha inizio: in realtà il riferimento è anche alla chiusura fisica, all’interno di una stanza del castello, all’interno della biblioteca, all’interno di un luogo in cui Giacomo si sente incompreso. Egli stesso non comprende la lingua, e pare trascorra i suoi giorni affiancato da un valletto-traduttore. Il castello di Dux diventa un luogo dell’anima, una “stanza – mente”, rappresentata dalla scena spoglia e assolutamente bianca. La poltrona in cui sprofondava il protagonista è in scena, ma Casanova-Herlitzka alterna decadenza a spirito giovanile. Decadenza corporea, sentimentale, ma soprattutto simbolo di un Europa del passato che non esiste più.   La Boemia appare, infatti, come un “reperto archeologico” della vecchia Europa, castello serrato, arroccato, tomba metaforica. Così come metaforica è l’immagine di Casanova che in questo spettacolo viene osservato da un punto di vista psicologico, intimo, talmente personale da sentire gli echi storici e culturali solo in lontananza. Scena bianca e asettica, cinque sedie, funzionali a diverse trasformazioni, cinque donne, bambole di porcellana, immagine della coscienza di Casanova, voci, fantasmi, immagini femminili, ballerine e contorsioniste, petulanti, dolorose, accattivanti, sensuali, funzionali a dare vita, visivamente, al racconto dell’attore che si protrae in un flusso di parole inesauribili. Dal racconto di Casanova bambino, sottoposto al rito di un fattucchiera, per volere della nonna che non riesce a fermare la fuoriuscita quotidiana del sangue dal naso del nipote, si viaggia insieme a lui. Salute cagionevole e conseguente reazione. L’immagine di Casanova è ripetutamente ibrida, poiché ingloba in sé non solo una doppia origine sociale e culturale, ma soprattutto è portavoce inconsapevole della dualità di questa Europa che si sta trasformando. Inconsapevole del suo ruolo, poiché aspira a vivere con e come i nobili, Casanova viene “inglobato” nella sua molteplice natura all’interno del corpo e del viso anziano di Herlitzka. L’attore a tratti si anima, con gesti giovanili, piroette e saltelli sul palcoscenico, che fanno certamente sorridere il pubblico, ma che dimostrano ancor di più la decadenza umana del personaggio. Nomi, luoghi ed episodi, come la fuga dal carcere dei Piombi insieme al frate Marino Balbi, probabilmente un falso storico amplificato dal racconto romanzesco dello stesso protagonista-autore, fino al  duello con il conte Branicki, alle donne, da Henriette, e la giovane Francesca Buschini, per citarne alcune che lo seguiranno come ombre durante tutta la vita, e delle quali si hanno notizie attraverso le stesse lettere del Casanova, per giungere, poi, all’Inquisizione e ai processi. La donna diventa ombra anche in questo spettacolo, poiché una delle cinque – interpretate da Marina Sorrenti, Franca Abategiovanni, Carmen Barbieri, Giulia Odori, Rossella Pugliese – sussurra nella mente del protagonista, lo avvolge, si trasforma, lo segue per mare e nelle calli. Il pubblico immagina che la donna sia vera. In realtà la donna e l’attrice incarnano, ancora una volta, lo stesso Casanova. La duplicità di questo personaggio si esplicita nell’immagine bifronte in cui maschio e femmina si fondono in un’unica storia. Il percorso intrapreso da questo spettacolo è arduo, ed è assolutamente concepibile solo attraverso l’interpretazione di Herlitzka: si punta su un personaggio conosciuto ai più, e soprattutto su un attore conosciuto da tutto il pubblico. Il racconto appare eccessivamente lungo, nonostante l’attore tenga gli spettatori con gli occhi incollati sul palcoscenico. Ma di certo un tale testo affidato ad altro attore, qualora non abbia la stessa intensità e la stessa esperienza di Herlitzka, non avrebbe certamente lo stesso risultato. Alcuni degli eventi fondamentali della vita di Casanova occupano la maggior parte del racconto, facendo emergere a tratti la poeticità delle sue parole, dei suoi pensieri e delle sue riflessioni, così come l’allegoria vita-teatro, solo accennata. Forse sarebbe stato opportuno puntare proprio su questi elementi, rielaborando in chiave teatrale, oltre che visiva (come in parte è stato fatto attraverso la regia), l’immagine simbolo di questo personaggio, in parte raccontato attraverso le sue vicende, ma in larga parte osservato per il ruolo da lui rappresentato all’interno della storia e della letteratura europee.

EMANUELA FERRAUTO

CASANOVA
Teatro Nuovo Napoli
4-8 marzo 2015

Teatro Segreto
presenta

Roberto Herlitzka in

Casanova
di Ruggero Cappuccio

e con
Marina Sorrenti, La Straniera
Franca Abategiovanni
Carmen Barbieri
Giulia Odori
Rossella Pugliese

musiche Marco Betta
costumi Carlo Poggioli
progetto scena Mariangela Caggiani
progetto luci Nadia Baldi
acconciature Desirèe Corridoni
aiuto regia Iole Salvato

regia Nadia Baldi