Il fiore che ti mando…

di Nora PUNTILLO

Lettere dal fronte che diventano vita e teatro, con parole antiche, piene di suggestioni e sentimento: la trasposizione teatrale (rappresentata il 20 e 21 febbraio 2024 al Teatro Sala Assoli di Napoli) e un volume di 135 pagine edito da Dante &Descartes sono il ben riuscito risultato del lavoro collettivo organizzato da Antonia Lezza (già docente di Letteratura teatrale all’Università di Salerno e presidente dell’attivissimo Centro Studi sul Teatro Napoletano) con Anna Rita Vitolo, Elvira Buonocore, Antonio Grimaldi per la scrittura scenica,  drammaturgia e regia. 

Il fronte è quello della prima guerra mondiale (detta anche europea), le lettere sono state scritte da Francesco Fusco, all’epoca (1915) trentaquattrenne medico nativo di Carano frazione di Sessa Aurunca alla moglie Stamura Segarioli, maestra elementare nativa di Orvieto e al loro figliolino Lorenzo. Il quale ha conservato le 56 lettere nonché numerose cartoline, scritte da lui a lei dal 1913, da quando si è arruolato come Tenente Medico, e la guerra non si sa ancora se ci sarà davvero, ma si intravede. Sarà una guerra atroce, lui non ne vedrà che un breve tratto, perché il 2 agosto 1915, muore “…gloriosamente in quel terreno nemico da lui tante volte coraggiosamente sfidato” dove quel “gloriosamente” dovrebbe essere di conforto a Stamura, come scrive il comandante del suo battaglione nella lettera di condoglianze.  Quel fronte di lì a poco diventava teatro di orribili stragi, con il sistema teorizzato dai generali di Cadorna, dove le prime file di fanti che sortivano dalle trincee per andare all’attacco con le baionette di fronte al fuoco delle mitragliatrici, cadendo uccisi formavano una nuova trincea stavolta di cadaveri che divenivano temporaneo riparo per le schiere successive mandate a diventare anch’esse trincee umane, e così via. Antonia Lezza nella prefazione-presentazione ricorda l’argomento (e il video realizzato) trattato nel corso universitario del 2014-15 (centenario) sul tema della “Grande Guerra degli scrittori”, registrando il fatto che gli studenti si fossero appassionati all’argomento trattato da scrittori che non hanno enfatizzato retoricamente l’evento ma ne hanno raccontato gli aspetti atroci, quelli delle decimazioni punitive e lo sterminio di tante giovani vite, aspetti che la storiografia ufficiale aveva ed ha nascosto a lungo. Nelle prime lettere il giovane medico indugia in descrizioni tranquille, addirittura idilliache dei luoghi nei quali viene inviato il suo reggimento: la ridente cittadina di Vittorio Veneto, i boschi, le numerose fonti di limpida acqua, gli applausi della gente al passaggio dei fanti (Il Piave ancora non mormorava… e mi piace qui sottolineare come due anni dopo, per rianimare quell’esercito sconfitto a Caporetto e poi vincere quella orrenda guerra ci siano voluti due napoletani, E.A.Mario con la sua canzone, e Armando Diaz con la sua capacità di comando). Non mancano negli scritti del giovane medico il disagio e la protesta per la ottusa censura militare che spesso blocca le sue lettere e ritarda quelle di Stamura a lui. Presto il tono tranquillo cambia, quando viene il tempo della trincea in alta quota, fra le rocce alpine, del soggiorno in tenda al freddo e nel fango,  il tempo dei “dieci giorni senza potermi lavare e cambiare…”. E gli accade anche di vedere arrivare al suo posto di medicazione un gruppo di 25 prigionieri austriaci di cui uno moribondo, portato su una tavola di legno come barella, un giovane “…sulla trentina, forse aveva piccoli che lo attendevano a casa…” e per il quale lui non può fare nulla. Gli accade anche di osservare col binocolo “… dove scoppiano i nostri proiettili, ed è una gioia feroce quella che si prova se tutto va bene…” ossia se la cannonata raggiunge in pieno il suo obiettivo. Non mancano la descrizione delle “scene di entusiasmo e il Viva Savoia per i nostri Alpini”, con la notizia che “…domani sarò al fuoco dell’artiglieria” e anche la promessa: “al mio ritorno ti racconterò tutto e non ci lasceremo mai più”. Pochi giorni prima di morire “gloriosamente”, Francesco Fusco manda una ciocca dei suoi capelli al figlioletto Lorenzo e un fiore (un “Non ti scordar di me delle Alpi”) alla sua amata Stamura precisando ad entrambi di aver baciato quei messaggi d’amore e dedizione, evidente trasposizione del sentimento scritto in quegli oggetti altamente simbolici. Nella versione teatrale, efficace si rivela la scelta del monologo e della voce fuori campo, dove Stamura, circondata dalle lettere sparse intorno a lei, si rivela e si rappresenta attraverso le parole scritte dell’uomo che lei ama, riamata.  Monologo e libro appaiono come un inno all’amore e insieme alla femminilità, non c’è solo una donna in attesa di un ritorno ma una personalità ricca che suscita gesti rivelatori di un amore profondamente vissuto. Nel libro ho trovato semplicemente deliziosa anche la riproduzione fotografica di quella grafia tonda, perfettamente in riga e appena inclinata verso destra che si insegnava e imparava ancora al tempo della mia infanzia (subito dopo la seconda strage mondiale) nella scuola elementare, elegante e chiara, comprensibile e felice messaggera di semplicità e volontà di comunicare, da rimpiangere nell’epoca delle attuali stragi (non mondiali ma quasi) in cui la tastiera del computer sta cancellando anche questi elementari sentimenti umani.