Il perturbante nella drammaturgia di Rosario Palazzolo. Approdo a Tiger dad

di Rossella PETROSINO
«È accertato che il pubblico medio italiano tende a mettersi al di sopra dello spettacolo, che facilmente ironizza quando esso supera i limiti della sua modesta abitudine mentale e morale: non so se questo sia pregio o difetto. Lo chiedo al lettore».(1) Partirei dalle parole che Ennio Flaiano utilizza per parlare della condizione nella quale versava il teatro in uno dei periodi più cupi della nostra storia – quello del fascismo – per parlare di un drammaturgo siciliano a noi contemporaneo, Rosario Palazzolo. Nel 1943 Flaiano scrive che il regime aveva favorito un teatro consolatorio e piccolo borghese e chi scriveva, addirittura, aveva sostituito la tirannia della censura con la tirannia della propria coscienza, per offrire prodotti sempre uguali a un popolo che era timoroso di “guardarsi allo specchio”. Il ritratto dello spettatore che suggerisce il critico – nonostante la società sia notevolmente cambiata – sembra somigliare molto a quello dello spettatore contemporaneo. Che oggi qualcuno dalla parte dei drammaturghi intercetti questa ormai quasi consolidata debolezza del pubblico e cerchi di resistervi elaborando tecniche drammaturgiche che tentino di modificare lo stato delle cose, ci sembra una buona notizia. È questo un merito di Rosario Palazzolo il quale, innanzitutto si misura in maniera consapevole con la scrittura drammaturgica e in secondo luogo osserva lo spettatore e instaura con questo un rapporto molto intenso, ovverosia un conflitto. Si può infatti affermare che il teatro del drammaturgo siciliano sia un “luogo di battaglia” che, in quanto tale, è battuto anche dai sentimenti più atroci ma che, proprio per questo, approda alla conoscenza e alla verità. Palazzolo sorprende per la capacità che ha di sottoporre ogni volta al pubblico questioni importanti con una notevole naturalezza espressiva, offrendo spettacoli talvolta anche divertenti.
Debutta nella scrittura teatrale nel 2005 con Uomor, dove la vita è concepita come un gioco illusionistico. Scrive poi Ciò che accadde all’improvviso (2006), I tempi stanno per cambiare ( 2007), ’A Cirimonia (2009), Eppideis (2021) e Via Crudex (2023). Nel 2016 viene pubblicata la raccolta Iddi – Trittico dell’ironia e della disperazione (2), della quale fanno parte i testi Oumminicch’(2007), Letizia forever (2013) e Portobello never dies (2015); e tre anni più tardi Santa Samantha Vs. Sciagura in tre mosse (Il Glifo, 2019), che comprende i testi Lo zompo (2016), Mari/age (2016) e La veglia (2018). Scrive e dirige poi il Dittico del Sabotaggio, composto dagli spettacoli Se son fiori moriranno (2023) e Ti dico una cosa segreta (2024), entrambi prodotti dal Teatro Biondo di Palermo. Si dedica anche alla narrativa, scrivendo le novelle L’ammazzatore (2007), Concetto al buio (2010), e i romanzi Cattiverìa (2013) e La vita schifa (2020).
Una costante della sua produzione testuale è una struttura drammaturgica che mescola continuamente la realtà e l’apparenza, il presente e il passato, la quotidianità e il sogno. Scrive a tal proposito Filippa Ilardo: «la sua opera ruota intorno all’impossibilità di afferrare la realtà che, a sua volta, si trasforma in una gabbia: è la follia costitutiva del reale, è il rifiuto della camicia di forza della ragione. Il suo è un gioco teatrale che pone in continuità il delirio con la ragione e l’illusione con la realtà».(3)
Il teatro in questo caso diventa una necessità, un luogo che raccoglie le tensioni della società contemporanea e le mostra – quasi sempre – attraverso una vittima. Pensiamo ad esempio al personaggio di Letizia in Letizia forever (4), una donna che racconta la propria esistenza costellata di soprusi e di ignoranza, ma è soprattutto un emblema, quello di una distonia della personalità e di un evidente accanimento sociale. È questo l’aspetto che emerge con forza dalla scrittura del drammaturgo siciliano, una sorta di violenza passiva che agisce senza sosta sugli uomini più vulnerabili. Le figure di Palazzolo diventano personificazione di una società e di un’anima inevitabilmente disgregate. Soprattutto negli ultimi lavori il drammaturgo scandaglia l’universalità delle relazioni umane, partendo dal concreto della cultura siciliana e ricreando scenicamente atmosfere di spazi angusti e soffocanti nei quali esplode una violenza sempre contenuta e spesso interrotta dal silenzio, a sua volta interrotto dalla musica. In questo scenario la sofferenza è utilizzata per raggiungere una dimensione profonda dell’essere e per agganciare lo spettatore. Ecco che si giunge al rapporto con lo spettatore cui si faceva prima riferimento. Palazzolo non si ferma alla compassione che, sappiamo essere un sentimento ambivalente perché fa sentire lo spettatore non coinvolto nella responsabilità attiva di quello che accade, ma fa un ulteriore passo: fa vergognare lo spettatore dei suoi stessi sentimenti. E questo il drammaturgo lo dice esplicitamente, seppur servendosi del suo personaggio Adele – protagonista dello spettacolo Se son fiori moriranno –(5) che rivolgendosi agli spettatori dice: «Voi siete alieni, e perciò non lo so se lo capite bene bene, il mio dolore. Se lo capite nel senso che lo sentite. Se lo sentite nel senso che lo provate […] Lo so che vi piacciono quelli un po’ infelici. Venite per questo qua, giusto? Per guardarci, che magari siamo lo spettacolo del mondo alieno, noi». È questa una dichiarazione di intenti, Palazzolo non offre allo spettatore delle fotografie con didascalie e si guarda bene dal non essere frainteso. È per questa ragione un teatro né epico né politico, bensì perturbante.
Questo meccanismo drammaturgico è particolarmente evidente nell’ultimo spettacolo, Tiger Dad, andato in scena il 17 gennaio alle ore 21, al Piccolo Teatro del Giullare di Salerno (6). Il taglio generale dello spettacolo è tragicomico – non sofferto, ma più giocoso – e attraverso la pratica creativa della rielaborazione dei racconti e dei vissuti, si intrecciano scene di vita quotidiana (recuperate dalla memoria) a personificazioni immaginarie. Tiger Dad è un’esperienza teatrale intensa e provocatoria che, attraverso una messa in scena convincente e una performance attoriale di alto livello, offre uno sguardo profondo sulle dinamiche familiari e sulle pressioni sociali contemporanee. La rappresentazione si apre con una scena quasi ipnotizzante che vede l’attore con mani e ginocchia legate all’interno di un ring illuminato, indossando la maschera dell’Uomo Tigre. In sottofondo, risuona ossessivamente la colonna sonora del noto cartone animato, creando un’atmosfera che mescola tratti ossessivi e conturbanti a una dolcezza e un senso di resa rispetto al suo destino. Quando inizia a raccontarsi Tiger Dad – con voce bambinesca, tic nervosi e movimenti “balbettanti”, come se le sue gambe fossero spezzate – ci parla, con uno spiccato accento siciliano, della sua condanna per un reato di omicidio che, fino alla fine, resta del tutto marginale, mentre si pone al centro la sua passione per il canto. In questo caso Palazzolo si serve della storia di Cabriello – uomo siciliano del popolo, semplice e tenero, affetto da un disturbo psichico – per tendere una trappola al pubblico. L’isolamento del personaggio in un mondo ostile assume un alto valore simbolico e universale tale da agganciare lo spettatore nella sua affermazione di superiorità in grado di comprendere gli sventurati e i disperati. Tutti gli aspetti della rappresentazione incoraggiano lo spettatore a intraprendere quella direzione, ad abbandonarsi all’emozione di pietà incontrollata, sebbene inconcludente. E nell’attimo in cui gran parte della platea è schierata e pronta ad applaudire gli sbagli giustificati, giunge dal palco lo svelamento. Sembrerebbe uno spettacolo già visto e che non dice nulla di diverso da Letizia forever ad esempio. In realtà questo testo, sebbene si muova nella scia dei precedenti, aggiunge un elemento nuovo e decisamente efficace. Al carosello di luci, canzoni, colori, personaggi sventurati, che poi si rivelano altro da quel che appaiono, si aggiunge un nuovo smascheramento, questa volta sotto forma di gioco metateatrale. Ecco il perturbante. Ecco un tentativo di restituire l’umanità nella sua natura più semplice e complessa, attraversata al contempo dal bene e dal male.
1.E. Flaiano, L’amaro teatro, in Lo spettatore addormentato, a cura di, A. Longoni, Adelphi, Milano, 2010, p. 77.
2.R. Palazzolo, Iddi – Trittico dell’ironia e della disperazione, Editoria e Spettacolo, Spoleto, 2016.
3.F. Ilardo, Seminario, Cromosoma Sicilia: l’Isola plurale come forma. La Nuova Drammaturgia Contemporanea in Sicilia: anatomia di un’estetica divergente, Accademia Belle Arti, Palermo, 2018, p. 5.
4.Cfr. A. Grieco, Letizia, dai sogni infranti alla rivolta contro il potere degli uomini, recensione dello spettacolo andato in scena dal 30 novembre al 3 dicembre 2024, presso il Teatro Elicantropo, Napoli: https://www.centrostuditeatro.it/2023/12/letizia-dai-sogni-infranti-alla-rivolta-contro-il-potere-degli-uomini/.
5.Cfr. E. Ferrauto, L’immaginazione sostiene la vita e sabota la realtà. “Se son fiori moriranno”, il nuovo lavoro firmato da Rosario Palazzolo entusiasma il pubblico napoletano, recensione allo spettacolo andato in scena dal 13 al 18 febbraio 2024, presso il Teatro Piccolo Bellini, Napoli: https://www.centrostuditeatro.it/2024/02/limmaginazione-sostiene-la-vita-e-sabota-la-realta/.
6.L’evento ha segnato la ripartenza della rassegna Mutaverso Teatro con una programmazione che oltrepassa i confini regionali, dopo la conclusione della sezione GEOgrafie, tutta dedicata ai giovani artisti della Campania.