Come un animale senza nome.

La voce profetica di Pasolini in scena
a cura di Alessia SPAMPINATO
Una voce che interroga il presente
L’opera-concerto è un progetto di e con Lino Musella, con la drammaturgia di Igor Esposito e le musiche dal vivo di Luca Canciello, produzione La Fabbrica dell’Attore (Teatro Vascello, Associazione Cadmo). Lo spettacolo, allestito nella suggestiva Sala Assoli, parte integrante della Casa del Contemporaneo, si propone come un’esperienza artistica in cui parola, poesia e suono dialogano fra loro, in uno stretto connubio tra memoria del passato e urgenza del presente. Sul palco, immersi in una luce pittorica che richiama l’arte di Masaccio e Caravaggio – tanto amata da Pier Paolo Pasolini – Lino Musella e Luca Canciello si dispongono frontalmente, dando vita a un confronto serrato tra voce e musica. Musella, con indosso occhiali spessi, rievoca il profilo pasoliniano; Canciello, davanti ai suoi strumenti, dà forma a un intreccio sonoro che dialoga con il testo, restituendo alla parola pasoliniana una dimensione ritmica ed elettronica sorprendentemente affine. La rappresentazione, che si articola attraverso alcuni frammenti della vita di Pasolini, presenta un racconto in cui biografia e poesia si incontrano, saldandosi in un’unica trama di suggestioni e riflessioni: dall’infanzia del poeta segnata dalla figura materna all’impegno politico, dalla critica alla società borghese a quella capitalista. Il testo, tratto dal poema autobiografico Poeta delle ceneri, pubblicato postumo, nel 1980, in «Nuovi Argomenti» sotto la cura di Enzo Siciliano, si intreccia con la drammaturgia di Esposito e con la partitura sonora di Canciello, dando vita ad un’azione scenica polifonica e immersiva, in cui il suono delle parole diventa materia viva del racconto.
Musella restituisce la parola pasoliniana con un’intensità che non si limita alla lettura: l’attore la interpreta con il corpo, attraverso piccoli gesti, silenzi, esplosioni vocali. Il ritmo della sua recitazione guida lo spettatore in un viaggio all’interno dell’opera del poeta, riportando l’essenza dell’uomo Pasolini oltre la figura dell’intellettuale. Igor Esposito, in un’intervista al «Corriere del Mezzogiorno», ha definito lo spettacolo come «una confessione in forma di vero e proprio monologo»,1 un’idea che si traduce scenicamente in una voce che si fa materia, vibrazione, urgenza.
Lo spettacolo si sviluppa seguendo un percorso narrativo che prende avvio dal ritorno del poeta alla sua infanzia, profondamente legata ai ritmi e alle tradizioni contadine del proprio luogo d’origine, come Pasolini scrive nella poesia 10 giugno 1962, accolta nel 1964 in Poesia in forma di rosa:
E io sono una forza del Passato. / Solo nella tradizione è il mio amore. / Vengo dai ruderi, dalle chiese, / dalle pale d’altare, dai
borghi / abbandonati sugli Appennini o le Prealpi, / dove sono vissuti i fratelli (P.P. Pasolini, 10 giungo 1962, vv. 22-27).2
Per proseguire verso l’età adulta, segnata dal capitalismo e dalla desolazione urbana:
Giro per la Tuscolana come un pazzo, / per l’Appia come un cane senza padrone. / O guardo i crepuscoli, le mattine / su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo, / come i primi atti del Dopostoria, / cui io assisto, per privilegio d’anagrafe, / dall’orlo estremo di qualche età / sepolta. Mostruoso è chi è nato / dalle viscere di una donna morta. / E io, feto adulto, mi aggiro / più moderno di ogni moderno / a cercare fratelli che non sono più. (P. P. Pasolini, 10 giungo 1962, vv. 28-39).
Dal poemetto La realtà, inserito da Pasolini solo nella seconda edizione riveduta della raccolta Poesia in forma di rosa (Garzanti, 1964), è ricavato il titolo dello spettacolo: «e ora sono qui solo come un animale / senza nome: da nulla consacrato, / non appartenente a nessuno, / libero di una libertà che mi ha massacrato».3 La messa in scena ripercorre le disillusioni, le speranze tradite e gli ideali mai sopiti che attraversano l’opera di Pasolini, fino alla sua trasfigurazione nella figura “edipica” della vittima sacrificale.4 Il poeta, lo scrittore, l’intellettuale diventa qui la bestia, l’animale da immolare, simbolo di un’«anima che si offre come capro espiatorio».5 Il letterato, infatti, si espone a una società che lo perseguita, lo processa, lo condanna moralmente, e che, nel fare ciò, non riesce ad apprezzare il valore civile della sua lotta. In questo contesto, la voce di Musella si fa espressione tangibile di quel dolore e di quella resistenza.
Al centro dello spettacolo vi è la parola, il ritmo della voce e la sua metamorfosi in grido e musica: un’interazione, questa, che, nel generare una tensione drammatica, sfocia in una denuncia e in un’esortazione al risveglio civile. Il reading poetico, infatti, si intensifica progressivamente fino a esplodere nel grido, culminando nei versi di Urlo letti dallo stesso Allen Ginsberg. Ad aumentare questa tensione è l’appello tratto dal poema autobiografico pasoliniano Poeta delle ceneri, le cui parole risuonano oggi più attuali che mai:
[…] E oggi vi dirò / che non solo bisogna impegnarsi nello scrivere, / ma nel vivere: bisogna resistere nello scandalo / e nella rabbia, più che mai, / ingenui come bestie al macello, / torbidi come vittime, appunto: / bisogna dire più alto che mai il disprezzo / verso la borghesia, urlare contro la sua volgarità, / sputare sopra la sua irrealtà che essa ha eletto a realtà, / non cedere in un atto o in una parola / nell’odio totale contro di essa, le sue polizie, / le sue magistrature, le sue televisioni, i suoi giornali.6
Si tratta di un grido di resistenza e di denuncia che lo spettacolo raccoglie e restituisce con urgenza e potenza scenica, evocando «spezzoni del mondo ideologico pasoliniano in frantumi, ognuno con un suo rimprovero al mondo finito e in gran parte incomprensibile».7
Un finale che interpella lo spettatore
Con un minuzioso lavoro di scavo introspettivo nella biografia pasoliniana, Lino Musella rende tangibile la rabbia e il dolore del poeta non solo attraverso la voce – che sussurra, esplode e si spezza –, ma anche con il linguaggio del corpo: ogni gesto scenico è infatti calibrato ed ogni pausa amplifica il significato delle parole.
Nel finale, il dialogo tra attore e musicista si interrompe e Musella, infrangendo la quarta parete, si rivolge direttamente al pubblico: una scelta, quest’ultima, che ha la forza di richiamare alla memoria quell’osservazione di Franca Angelini sui lavori di Pasolini, secondo cui i personaggi «dialogano col pubblico, gli si rivolgono, lo chiamano in causa, al rispecchiamento o al rifiuto».8 A questo punto, lo sguardo dell’attore si fa più interrogativo, tanto che l’incipit della poesia scritta da Eduardo De Filippo per la morte di Pasolini, «Non li toccate quei diciotto sassi», viene a disporsi come una barriera simbolica eretta in difesa di una voce che resiste.9 .
Infine, un’ultima voce, quella del poeta Pasolini, distorta e metallica, proveniente da un tempo indefinito, interrompe il momentaneo silenzio che avvolge la scena, sollecitando una riflessione sul presente:
La parola speranza è cancellata dal mio vocabolario,
continuo a lottare per verità parziali,
momento per momento, ora per ora…10
Ed è proprio in questa resistenza, forse, che risiede ancora un frammento di speranza. Una speranza fragile, combattuta, ma necessaria. L’eco di Tà-kài-tà (“questo e quello”), l’omaggio poetico in forma di «periplo immaginario, fantastico» che Enzo Moscato dedicò a Eduardo De Filippo per il Napoli Teatro Festival del 2012, sembra così riecheggiare, con la forza della delicatezza, nello spettacolo concepito da Lino Musella e intrecciarsi idealmente con l’intento originario di Moscato, il quale nel suo lavoro si era ispirato al quel progetto cinematografico incompiuto – Porno-Teo-Kolossal – che Pier Paolo Pasolini aveva immaginato per lo stesso De Filippo e che il poeta avrebbe forse realizzato nel 1976, se la morte non lo avesse fermato.11
* La visione dello spettacolo Come un animale senza nome, andato in scena a Napoli l’8 marzo 2025, presso Sala Assoli, è stata promossa dal Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo attraverso il Bando Borsa di Studio in memoria di Franca Angelini
https://www.centrostuditeatro.it/2025/01/bando-di-selezione-borsa-di-studio-in-memoria- di-franca-angelini/
1) L’articolo di Enrico Fiore, Napoli per Pasolini, pubblicato il 19 agosto 2022 nel «Corriere del Mezzogiorno» (Napoli), è consultabile alla pagina web https://www.controscena.net/enricofiore2/?p=8408
2 ) I versi pasoliniani sono riportati anche da Enrico Fiore nell’articolo precedentemente citato.
3) P. P. Pasolini, La realtà, in Poesia in forma di rosa, Garzanti, 1964.
4) Vd. F. Angelini, Edipo nel teatro di Pasolini, in Lezioni su Pasolini, cura di T. De Mauro, F. Ferri, Ripatransone (AP), Sestante, 1997, pp. 87-97.
5) F. Angelini, Pasolini e lo spettacolo, Roma, Bulzoni, 2000, p. 229.
6) P. P. Pasolini, Il poeta delle ceneri (in «Nuovi Argomenti», n. 67/68, a cura di E. Siciliano, Luglio/Dicembre 1980), in Id., Bestemmia. Tutte le poesie, a cura di G. Chiarcossi, W. Siti, prefazione di G. Giudici, Milano, Garzanti, 1993, vol. I; i versi pasoliniani sono riportati anche da Enrico Fiore nell’articolo precedentemente citato.
7) Ivi, p. 231.
8) Ivi, p. 115.
9) Vd. anche F. Angelini, Rasoi. Teatri napoletani del ’900, Roma, Bulzoni, 2003, pp. 112-143.
10) Il testo è tratto dall’intervista a Pier Paolo Pasolini condotta da Enzo Biagi all’interno del programma RAI III B facciamo l’appello (1971). Il brano è riportato anche in G. Policardo, Schermi corsari. Pasolini in televisione, prefazione di I. Moscati, Roma, Bulzoni, 2008, p. 91.
11) Al riguardo, si rinvia all’introduzione di Antonia Lezza al testo di Enzo Moscato, da lei curato: Tà-kài-Tà (Eduardo per Eduardo), Napoli, Editoria&Spettacolo («Percorsi»), 2020; ma vd. anche la recensione di Mario Corbo, «E mi dirò “in frammenti”»: la dispersione dell’io, consultabile al link del Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo https://www.centrostuditeatro.it/2021/06/e-mi-diro-in-frammenti-la- dispersione-dellio-una-riflessione-su-ta-kai-ta-di-moscato-e-su-pessoa/, e il contributo di Pasquale Scialò, Parole con le ali, in Tradizione, Tradimento, Tradinvenzione. Sull’opera di Enzo Moscato (Sala Assoli, 30 gennaio 2023), a cura di A. Lezza, Napoili, Libreria Dante&Descartes (Quaderno dell’Associazione Centro Studi sul Teatro Napoletano Meridionale ed Europeo), 2024, pp. 44-45.