“LETTURE DA TOLEDO” A PALAZZO GARGIULO – di Paola Guida
Sorrento
Giovedì 9 agosto 2012, alle ore 21.00, l’Associazione “Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo” in collaborazione con l’Associazione “Palma Cappuro”, nell’ambito del Teatro d’appartamento, presenta lo spettacolo Letture da “Toledo”, voce Gino Curcione e al piano Mariano Bellopede.
Palazzo Gargiulo, via San Francesco 22 – Sorrento.
Recensione dello spettacolo
Un ruccellàneo e un musico al palazzo di donna Palma
Poco più di due anni sono trascorsi dalla scomparsa di Palma Cappuro, indimenticabile docente, raffinata grecista e latinista, studiosa sensibile. Grazie all’ospitalità dell’Associazione culturale a lei intitolata, la residenza di famiglia – situata nel largo San Francesco, a pochi metri dall’antico Chiostro, e da una delle più belle vedute sul mare della città di Sorrento – apre le porte per accogliere il progetto “Teatro d’appartamento” promosso dall’Associazione Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo.
Il Centro Studi Teatro è l’estensione dello spirito munifico e filantropico della sua fondatrice e presidente, Antonia Lezza, studiosa di teatro, la quale – come ha ricordato Gius Gargiulo, figlio di Palma Cappuro, nonché presidente dell’Associazione a lei intitolata e docente di Metodologia dell’analisi testuale multimediale e di Storia delle idee del Settecento all’Universitè de Paris X-Nanterre, ad apertura di serata – con competenza ed amore protende verso la letteratura e le arti e, in particolare, verso il teatro e la poesia meridionale, soprattutto su alcuni autori significativi e su attori, anche contemporanei, che rendono unica la tradizione culturale del Mezzogiorno.
Il “Teatro d’appartamento” è un progetto attraverso cui si interroga oggi il teatro, e per ricrearne lo spirito in una dimensione atipicamente familiare e privata, e per compiere un atto significativo di resilienza rispetto ai problemi legati ai contributi ed al finanziamento destinati al teatro. È un’esperienza di evento performativo in scena absentia, il cui presupposto estetico è l’indisponibilità alla spettacolarizzazione, all’artificio della scena e la disponibilità ad adattare il proprio contenuto performativo all’ambiente che lo ospita. La scelta del repertorio aderisce allo stile, alle geometrie degli spazi, alla sistemazione degli arredi, alle pitture, alle pareti, al mobilio, alla carta da parati, ai cancelli dei cortili, alle vedute su spazi aperti che sono già scene.
In questa otticaLetture da Toledo nasce come spettacolo dalla forma composita; quattro rappresentanti della scuola poetico-drammaturgico-letteraria evolutasi in lingua dialettale a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Autori importantissimi: Salvatore Di Giacomo, Raffaele Viviani, Annibale Ruccello, Giuseppe Patroni Griffi, visionari di altrettanto fondative concezioni sulla natura del teatro, della prosa e della poesia per musica. Quattro scelte repertoriali differenti, evocano un’allegoria di generi appartenuti a quello stesso mondo classico di cui Palma Cappuro fu cultrice ed animatrice, e le cui tracce andrebbero indagate e riconosciute. Ma non basta, leggiamo il programma di sala, e ci accorgiamo che molti sono i luoghi reali evocati nei testi; in sostanza, quattro luoghi che colpiscono la nostra attenzione.
Il Santuario, carme lirico-poetico di Raffaele Viviani – intonato alla presenza del suono claustrale di Ciaccona in Re minore di Bach/Busoni – costituisce la matrice arcaica della poesia vivianea. Le “stanze”, di Giuseppe Patroni Griffi, la cui produzione drammaturgica ricade nella modernità all’atto della sua stesura, in forma di antico poemetto: dialogo realistico-descrittivo che celebra la bellezza della ridente giornata di Rosalinda, il cui solo nome rievocherebbe un’eroina del Tasso, o della letteratura romanza francese, se non fosse che quello Sprint la investe come uno scialle frangiato, di una spiccata e pittoresca dimensione parodica, che distingue poi la marca stilistica dell’autore. Il “manicomio” di Annibale Ruccello, testo in una lingua ove si proclamano le possibilità eretiche della letteratura, esprimibili solo attraverso l’alibi di un delirio farneticante. Una sorta di liber glossarium di una lingua del volgo, intrisa di formule dialettali, infarcita di contenuti pagani attualistici e di citazioni impensabili, quelle stesse che avrebbero fatto vacillare il De praescritione haereticorum di Tertulliano. Ultimo luogo, ma non ultimo “l’uocchio affatato” di Salvatore di Giacomo, certamente non luogo metaforico, irreale, che allude a dimensioni più profonde di passione e di amore, le quali poi si traducono in forma di elegie musicali nell’intenzione compositiva di Mario Pasquale Costa.
Laddove si esilia la strategia scenica, le mura alte, bianche e spesse di questo atrio/palazzo in cui si svolge l’evento performativo, si prestano a metamorfosi visivo-immaginative suggerite dai contenuti tematici dei testi, dallo stile e dal professionismo del protagonista della serata: Gino Curcione, sostenuto dalle capacità del maestro Mariano Bellopede. Un tempo aedo, cantore, femio, oggi l’interprete di professione formatosi nell’alveo della cultura partenopea della seconda metà del Novecento, ripropone i testi contemporanei ormai divenuti “classici” dei grandi Di Giacomo, Viviani, Ruccello, Patroni Griffi. Gino Curcione è un attore noto nello scenario partenopeo, una lunga carriera alle spalle, rappresenta la schiera di rapsodi dialettali post-moderni, professionisti che hanno dedicato la loro vita al teatro, allo studio di un repertorio e di una complessa tecnica fonatoria. Elegantissimo in un completo bianco, colore che suggerisce la neutralità dell’elemento suono che di volta in volta aderirà all’intonazione stilistica dell’autore di riferimento. Si introducono nuove categorie per spiegare la complessità dell’articolazione della parola dialettale che si insinua tra la declamazione, la declinazione, la declivazione. Sfumature timbriche, impennate diaframmatiche, emissioni di suoni claustrali, a bassa voce, a bocca aperta; argot gestuali con cui l’attore lascia cadere le pagine inchiostrate dal leggìo, a coprire i piastroni del pavimento. La parola ha una inflessione talvolta ascendente, digradante, è scoscesa, produce un effetto vocale asimmetrico ed il tutto costituisce la metrica sottesa alla prosa dialettale nei testi, mentre la poesia intonata dal Curcione vivianeo e digiacomiano, modella il suo verso e lo piega alla volontà della musica. La musica è convertita attraverso la ricerca pianistica di matrice chopeniana di Mariano Bellopede, pianista versatile, ritmicamente pronto, quando accompagna Curcione nel repertorio classico, sognante quando esegue il “ce rien charmant” del compositore polacco, intimista sul finale del suo Chopin e la luna, defluisce agilmente sulle volate biscromatiche,alla ricerca di malinconiche e inopinate nuances timbriche.
Paola Guida
Foto di Anna Carrino.