“LETTURE TEATRALI” A PALAZZO GARGIULO – di Paola Guida

Sorrento

Lunedì 20 agosto 2012, alle ore 21.00, l’Associazione “Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo” in collaborazione con l’Associazione “Palma Cappuro”, nell’ambito del Teatro d’appartamento, presenta lo spettacolo Letture teatrali, con Lello Giulivo e Tonino Taiuti.

Palazzo Gargiulo, via San Francesco 22 – Sorrento.

Recensione dello spettacolo

Una maschera, un pupo e una fata. Teatro d’appartamento, desiderio di ricerca e di parola

 ’Mmiezo a  na piazza ce sta nu palazzo

Ddint’ all’atrio se fa nu tiatro

Quanta gente è venuta stasera

Pe’ vedè na maschera, nu pupo pe’ sentì na fata. 

Il secondo incontro, nell’atrio/palazzo della residenza Gargiulo, per rinnovare l’intesa culturale tra l’Associazione Palma Cappuro, e l’Associazione Centro Studi sul Teatro Napoletano, Meridionale ed Europeo, è intitolatoLetture Teatrali.

Rispetto all’esperienza performativa precedente, queste letture sollecitano riflessioni differenti e dirottano la nostra attenzione non su luoghi, non su temi evocati, non sulle forme della classicità, piuttosto sulle motivazioni stesse del fare teatro e sulla possibilità di proporlo in alternativa alle strutture ufficiali. Un teatro di espressione a tasso minimo di gestualità, di scena e di costume, la cui protagonista, “prima donna” e fata affabulatrice, è la parola, con la sua portata riempitiva degli spazi, con la funzione mimica e totalizzante che svolge nel prosciugare l’azione teatrale, assorbendone alcune specificità. Così concepita dagli attori, la performance privilegia la comunicazione essenziale tra attore-spettatore e come esorta Antonia Lezza: «Nzerrate ’a porta», lo spettacolo deve cominciare.

   Lello Giulivo e Tonino Taiuti sono attori napoletani, lavorano su testi della tradizione di lingua italiana e di lingua napoletana. Giovani, ma non giovanissimi, personaggi editi e noti dello scenario partenopeo si presentano a noi comm’e favular’,  comm’ e  narracunt’, i cantastorie. Lello Giulivo: una maschera di cera scura, emerge dietro la cancellata del cortile interno, che dall’atrio apre su un cielo notturno, e dà respiro ad una primissima citazione d’ ’o Pullecenelladi Fiorillo. La sua narrazione si muove a contrasto con la peculiare meccanica della parola e del movimento attoriale di Tonino Taiuti, un pupo napoletano, dall’impressionante familiarità con il marionettismo del Totò partenopeo. I due si avvicendano nelle Letture teatrali, combinate in una miscellanea di storie e leggende, di monologhi, di dialoghi tratti dall’opera di autori importantissimi tra il Seicento ed il Novecento: Perrucci, Petito, Marinetti, Viviani, Calvino.

   Taiuti e Giulivo si rivelano attori capaci di fissare con la voce, fotogrammi di vita reale, direttamente attraverso la parola dei personaggi evocati nella narrazione. Avviene così che la parola imprime con la sua forza i connotati del personaggio, pertanto, deve essere ben calibrata e misurata nell’arco della performance. La parola recitata è l’elemento che predomina, quella che nel camerino virtuale dell’apparato fonatorio, cambia abito e si presenta con le fattezze di personaggi reali e di sagome fantastiche. Una coralità di voci del popolo rubate al Teatro di Varietà, alla commedia dialettale, alla letteratura contemporanea. Nessun bisbiglio immaginato nei confessionali, nessun suono sfumato, poiché quando la musica non è presente, la parola incalza e non ha timore di emergere. Con minuzia descrive i grotteschi, gli stralunati, i notabili, i dionisiaci. Con sfarzosa opulenza illustra una tavola imbandita: «Na bella ’nzalatella ’e pummarole, / cu ’a patana, ’a cepolla e ’a fronna d’accio, / ’arecheto pe’ coppa,  ’o ppoco ’e jaccio, / mmesca, sguarra ’a furchetta  e ghiesce sole!». Con incedere immaginario, la parola ci accompagna nella fiaba del piccolo Ficuciello: pollicino napoletano, parente lontano del Le petit poucet di Perrault.

«Abbra cadabbra la vita è scabbra», recita Taiuti, modernissima riconciliazione della parola in senso canonico, anch’essa scabra, asciutta, declamatoria, questa volta non intonata sul canto, testimonianza di una certa cultura orale, che ritorna viva in forma dei racconti d’ ’a mammana, delle leggende religiose… di cento e una storia… di storie e leggende discese dal medesimo flusso popolare cui hanno attinto gli autori.

Insomma, una sovrabbondanza di vocali e consonanti che fagocitano le pagine lette e comprimono l’aria stessa tra le mura di questo teatro atrio/palazzo, ma potremmo continuare, e continuiamo, poiché la parola cambia veste, quando i recitanti rimescolano i repertori. È futuribile quando è proiettata da Filippo Tommaso Marinetti; è nobile con Eduardo; la parola è loquela, è scilinguagnola in Perrucci; la parola è inquieta in Calvino. Infine, dopo la sfilata dei cotanti personaggi probabili o improbabili, evocati dal talento performativo dei nostri attori, il pubblico acclama il bis, chiede ancora una presenza di parola, e la parola non si nega, ritorna eroica, sonora, è «nu cuorpo a cuorpo» quando il Giulivo imperioso si avventura nel deflusso alluvionale della lingua poetica di Viviani; è destrutturante nel testo di Karl Valentin recitato da Tonino Taiuti, un dialogo lucidamente confusionale tra il fantomatico Simmel e la sua “bella”,  intriso di enigmi da quiz televisivo di non facile soluzione, che nella sostanza ricordano vagamente la famosa questione shakespiriana “sull’essere o non essere”. Quantunque domanda intrigante per l’appassionato di teatro, come per l’amatore o semplicemente per il passante, turista o residente, che incuriosito da cotante voci, si affaccia al portone, vorrebbe entrare… esita un istante per non disturbare… magari si accomoda o si allontana… ma come in ogni momento teatrale, c’è sempre un’emozione.

Paola Guida